Mike Shinoda, cantante dei Linkin Park, torna con un album da solista: Post Traumatic. Potremo sentirlo dal vivo l’8 settembre a Milano dove si esibirà prima dei Thirty Seconds to Mars. Come anticipato da egli stesso, e come si evince già dal titolo, l’intera opera esprime il percorso che ha compiuto dopo la tragedia accaduta l’anno scorso. Ovviamente ci riferiamo alla perdita di Chester Bennington.
Il superamento di un dolore tanto grande è un processo molto intimo, personale. Ognuno riesce a combattere ed andare avanti a modo suo e Mike ha trovato aiuto e rifugio in quello che ama di più, la musica. L’intero album può essere riassunto come una sorta di documentario di ciò che ha dovuto affrontare: delusione, rabbia, paura, solitudine e tristezza.
Questi sentimenti lo avevano bloccato nelle prime settimane dopo la tragedia, dove egli stesso ha rivelato che non è uscito di casa, i suoi genitori gli portavano il cibo e lo aiutavano con i figli. Da qui è nata giorno per giorno l’ispirazione, complice anche l’aiuto di Dave Grohl, che ha passato una situazione molto simile con la morte di Kurt Cobain e in seguito la creazione dei Foo Fighters. Shinoda non vuole semplicemente andare avanti, come se non fosse successo nulla, ma vuole liberare se stesso e rendere omaggio al caro amico nel migliore dei modi.
Per l’intero album sembra di ascoltare Mike Shinoda che fa una seduta da uno psicologo, si libera dei propri pensieri che lo perseguitano e li trasforma in arte, canalizzandoli nella sua musica.
Post Traumatic è formato da 16 brani e prende a piene mani dal rap, trap, rock, pop, un po di industrial e ricorda solo in pochissimi frangenti il lavoro svolto dal cantante assieme ai LinkinPark.
Così le sensazioni elencate poco fa ricoprono tutta la prima metà dell’ album, che si presenta con un carattere pesante e intriso di sensazioni negative. Basta ascoltare la prima canzone, Place to Start, per entrare subito nel mood iniziale di Mike Shinoda. Il cantante ci accompagna poi attraverso le prime otto canzoni, passando per Nothing Makes Sense Anymore e Promises I Can’t Keep. Brano dopo brano vediamo il viaggio che attraversa, fino ad arrivare proprio a metà, nell’ottavo brano Crossing a Line. Qui Shinoda su una base più ariosa, che si avvicina al pop sinfonico, esprime la sua voglia di andare avanti.
Proprio da qui si sente il cambiamento che interessa le canzoni successive, la tempesta si è placata e finalmente riusciamo ad intravedere il cielo azzurro. Come in Make It Up As I Go, dove troviamo la partecipazione di K.Flay e un groove r&b; ma anche in Lift Off, in cui Mike viene affiancato dal collega Chino Moreno dei Deftones e da Machine Gun Kelly, sfoggiando un rap velocissimo. Fino ad arrivare all’ultimo brano Can’t Hear You Now, dove Mike Shinoda si è liberato del proprio peso. Infatti possiamo sentire basi e parti vocali molto più aperte ed arieggiate, piene e con più riverberi, effetti e synth.
Nel complesso l’album è molto umano, come ci si poteva aspettare.
Nonostante dei leggeri cambiamenti di stile durante l’ascolto però non rimane particolarmente impresso. Mike Shinoda ci ha presentato un prodotto validissimo, ben riuscito, ma non un capolavoro. Non sono presenti delle canzoni particolarmente riuscite o innovative. Per quasi tutta la durata dell’album il tutto sembra già sentito. Nonostante questo è ben riuscita la percezione di cambiamento e crescita del cantante.
Post Traumatic di Mike Shinoda è un buon album che ci fa ripercorrere il viaggio del rapper ed è un buon addio a Chester Bennington. Non è eccezionale, non lascia una impronta indelebile nella storia della musica o nella nostra mente, ma è ben accetto.