Intervista a Ivano Marescotti: “Quella volta sul set di King Arthur”

ivano marescotti
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Oltre 30 anni di carriera alle spalle e tanti, tanti film per Ivano Marescotti. Uno degli interpreti più interessati e talentuosi del cinema italiano di oggi, come di ieri. Tante collaborazioni importanti nel suo curriculum. Tra le quali, il ruolo in King Arthur di Antoine Fuqua o Hannibal di Ridley Scott.

Alle spalle ben oltre 30 anni di carriera, ma curiosamente lei ha iniziato a soli 35 anni. Prima ha studiato Architettura e ha lavorato come impiegato. Poi ha deciso di abbandonare tutto e iniziare la carriera d’attore. Perché?

Io non ho avuto mai nessuna passione. Semplicemente ero impiegato all’urbanistica al comune di Ravenna, avevo fatto già 15 anni di lavoro. Sicché avevo esaurito le mie curiosità, volevo cambiare mestiere. Volevo cambiare. Licenziarmi. Ma non sapevo di voler fare l’attore, poi mi è capitata un’occasione e l’ho presa al balzo. Ma così, improvvisando, poi ho capito di che si trattava. Ho cominciato pian piano. Prima 4/5 anni di gavetta per poter agganciare qualche lavoro, sopravvivere. Perché poi non avevo più lo stipendio. Poi dopo ho cominciato a lavorare per il teatro.

Di che occasione si trattava?

Prima ho fatto delle cose saltuarie, dall’81, ’84,’85. Poi dopo ho cominciato a lavorare per le compagnie più professionali, tra cui Giorgio Bertazzi, che in quel periodo faceva “Il genio”. Poi tournée e mi sono inserito, ho fatto dei provini a livello. Ho lavorato con Martone, Carocecchi. Insomma una serie.

E proprio a teatro ha portato in scena uno dei progetti più interessanti, di riscoperta culturale del dialetto romagnolo. Trasponendo le opere di Baldini.

Si, l’ho scoperto in quel periodo. Prima ho dovuto prendere lezioni di dizione, perché parlavo in dialetto. Nascondendo il mio dialetto, perché per fare il professionista di teatro bisogna parlare in italiano. E poi dopo, scoprendo questi poeti, dopo Tonino Guerra, Raffaello Baldini, ho cominciato a leggere in dialetto, riscoprendo il valore culturale del dialetto. Riscontrando un certo successo, oltretutto, con i teatri sempre pieni. 

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E poi dal teatro è passato al cinema, come mai questa scelta?

Mah, gli attori possono scegliere poco, nel senso che se non c’è qualche regista o produzione che ti chiama tu non decidi di fare un film. Si fa un provino e se va bene, ti prendono e lo fai. Puoi solo decidere si o no. L’occasione è stata aver conosciuto Silvio Soldini e ho fatto un provino con lui. Dopo mi ha preso per fare il suo primo film, che era anche il mio primo film praticamente. Ho fatto qualche film precedentemente ma in maniera saltuaria. Da lì in poi L’aria serena dell’Ovest del ’90. E da lì in poi ho cominciato a fare cinema, perché sono stato visto al cinema in diversi, tante decine di film.  

E da lì una carriera vasta, collaborando con tanti registi importanti. Tra cui Risi, Benigni ma anche a livello internazionale con Minghella, Scott e Fuqua. Ha notato differenze tra il cinema italiano e quello americano?

Si, ci sono. La recitazione è la stessa, dipende dal regista che impostazione dà. La differenza è a livello di produzione. In America i soldi di vedono, si vede in tutto. Dalla scenografia alla quantità di persone che ci lavorano, al metodo di lavoro che è molto più professionale, specifico rispetto all’Italia. Lì se si dice “Alle 9 si va sul set” alle 9 si lavora. In italia, insomma, tutto più artigianale ma con lo stesso livello di capacità artistiche, di estro inventivo.  

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Ha qualche aneddoto interessante su queste esperienze fatte all’estero?

Beh ce ne sono tanti. Io non ho mai parlato inglese, per esempio, non lo so neanche ora. Non l’ho mai studiato, non capisco nulla, però ho già fatto 7/8 film in inglese. Imparo le battute a memoria, non posso improvvisare perché se mi fanno improvvisare mi fermo, lì ho imparato la dizione. 

Mi ricordo quando ho fatto King Arthur, mi sforzavo di fare la dizione giusta. Al punto che Antoine Fuqua mi disse “Guarda, il tuo personaggio è comunque italiano, viene da Roma. Per cui devi mantenere questa cadenza italiana nella pronuncia”. E io gli risposi: “Dont vorri”.

Perché io mi sforzavo di essere tanto preciso, tanto è vero che ho avuto complimenti sulla mia pronuncia inglese. Ma non capisco nulla lo stesso. 

E invece, tornando al cinema italiano di oggi, che considerazioni ha?

Il cinema italiano dopo gli anni storici c’è poco da fare. Ogni tanto esce qualche buon film, ci sono alcuni bravi registi. Ma non c’è una scuola italiana. Nel dopoguerra c’erano i grandi registi italiani che hanno insegnato al mondo a fare cinema. Dopo gli anni ’60 c’è poco da fare. Ci sono registi di oggi che ogni tanto si fanno valere, c’è ancora forse, c’è stato Nanni Moretti ma è un po’ che non si vede. Ma la grande ondata di grandi registi mi sembra sia finita con Ettore Scola, uno degli ultimi grandi del passato. Degli anni in cui mi sono formato io, nella mia giovinezza. Anche i grandi attori, mattatori dell’epoca.

Non è che non ci siano grandi attori, ma allora era diverso perché la gente andava molto più al cinema, li vedeva in sala in film. Non in televisione, né tantomeno sul telefonino. Si vede tanto più cinema oggi, di anni fa, perché è diffuso in tutti i sistemi, digitali ecc. In tutte le ore del giorno e della notte. Però la qualità non corrisponde a quella dei film degli anni ’50, ’60. C’è poco da fare, poi ci sono gusti diversi. Ma direi che non abbiamo da insegnare molto al resto del mondo, sul piano cinematografico, oggi.   

Una delle sue ultime interpretazioni è stata in Nobili bugie. Film che ho recensito e grazie al quale siamo entrati in contatto. Un film indipendente, una piccola produzione. Come mai ha deciso di collaborarvi? Per qualche legame affettivo con la città di Bologna?

No, io sono qui di Bologna, il film si è girato in città, quindi veniva anche comodo. Ma non è stato per quello. Io ho conosciuto il produttore, Paolo Rossi, che è stato molto cocciuto e incredibilmente sono rimasto anche sorpreso. Perché molti vogliono fare dei film, ma non riescono. Non hanno la verve, la dinamica, la creativa di Paolo Rossi, che invece ha sfondato ed è riuscito a fare un film con attori importanti. È stato sorprendente.

Poi ha avuto anche un buon successo, perché abbiamo tenuto la posizione nei primi 10 film in uscita, per i primi dieci giorni. Con 25/30 sale in tutta Italia, contro quegli altri che ne avevano 300. Per cui alla fine è stato un buon successo, meritato. Perché è un film divertente, particolare. E adesso pare che stiamo preparando, io parteciperò, ad un prossimo film. Poi abbiamo anche dei progetti produttivi insieme, per una fiction o anche per un film. 

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Lei è anche molto attento alla politica, tanto da candidarsi alle europee con Tsipras nel 2014…

Ma sì, io inseguo la politica da sempre. Però i politici, i partiti, la sinistra a cui aderisco continuamente mi sta surclassando, sempre sulla destra. Il pd è diventato un partito di destra, e poi anche con Tsipras è finito, ha fatto un referendum, ha ottenuto il “sì” e poi invece è andato a firmare gli ordini della Troika. E adesso sta facendo quello che gli è stato chiesto di fare, ma non dal suo popolo. Adesso ho votato il movimento 5 stelle per rovesciare il governo precedente.

Questo è avvenuto, ma il 5 stelle rinnega un’anima di sinistra per allearsi, a legarsi con la Lega. Adesso la Lega è al 17%, sta prendendo piazza, e adesso se sparisce l’anima di sinistra del movimento si appiattisce e diventa tutt’uno con la Lega, è finito il movimento 5 stelle.  

E tornando al mondo dello spettacolo, lei ha tenuto dei corsi teatrali a Ravenna. Quindi quali consigli si sentirebbe di dare ai giovani aspiranti attori?

Non consiglierei mai di fare quello che ho fatto io alla mia età. Oggi in particolare, ho mollato un posto fisso per andare all’avventura. Oggi è molto rischioso. Ma un giovane che vuole fare l’attore deve provarci, mettersi alla prova non un mese o due, ma per tre, quattro anni. Io ho impiegato quattro o cinque anni prima di cominciare a mettere radice e vivere di questo lavoro. Chi ha talento deve cercare l’occasione per mettersi alla prova.

Io dico sempre, nel nostro lavoro ci vuole, in dialetto romagnolo: “oc, stomac e bus de cul”.

Nel senso che ci vuole occhio, perché bisogna darsi fare, essere nel posto giusto al momento giusto. Stomaco perché bisogna mandare giù rospi notevoli, e anche avere un po’ di pelo sullo stomaco, per poter superare ostacoli, amarezze ecc. E “bus de cul”, fortuna, perché senza questa cosa le altre due servono a poco, se non hai l’occasione.  

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