Melody’s Echo Chamber – Recensione Bon Voyage

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Il secondo album di Melody’s Echo Chamber è un intreccio di stili e influenze nel segno della tradizione.

Melody’s Echo Chamber è il nome del progetto da solista dell’artista neo-psichedelica francese Melody Prochet. Il suo primo album sotto questo nome, e omonimo, è uscito nel 2012 ed è stato acclamato dalla critica. All’epoca Melody Prochet aveva una relazione con Kevin Parker dei Tame Impala, la cui influenza si poteva sentire in quel primo album, da lui tra l’altro prodotto. Ora, ben sei anni dopo, Melody’s Echo Chamber prende una direzione del tutto diversa.

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Bon Voyage, il suo secondo album, è un disco che si accomiata dalla psichedelia più dream pop e sensuale. Otto anni paiono aver segnato per Melody Prochet un processo di maturazione che ha portato l’artista francese a produrre un disco ambizioso e complesso.

Bon Voyage sarà probabilmente apprezzato dalla critica, ma molto meno dal pubblico. Perchè quest’album è un incrocio di influenze e di stili in continua mutazione. Se si dovesse trovare una definizione, potremmo parlare di psychedelic folk. Ma è davvero riduttivo parlare di un genere solo.

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Un attimo sembra di sentire la Incredible String Band, l’attimo dopo, con un salto di cinquant’anni ma quasi impercettibile, i Django Django. Dream pop, folk, funk, prog e psichedelia formano un miscuglio di carattere caleidoscopico che non starebbe male tra le migliori uscite del 1967.

Insomma, le armonie e gli arrangiamenti fatti di strumenti intrecciati riportano Melody’s Echo Chamber nel segno della tradizione, senza dubbio con lo scopo di dimostrare la propria statura musicale, ora che Parker non è più nei dintorni.

Se la premessa è questa, il risultato è senza dubbio buono. Bon Voyage è un disco di alto livello, da sviscerare per ripercorrerne le influenze, ma anche da ascoltarsi dopo aver preso qualche sostanza di quelle che sapete.

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