Koyaanisqatsi è un film sperimentale del 1982, diretto da Godfrey Reggio. Il film è costruito come una sinfonia visiva, che accosta varie immagini, accompagnate dalla musica, in modo da creare una narrazione senza dialoghi o altre informazioni. Koyaanisqatsi è un viaggio nel mondo moderno, dalle meraviglie naturali ancora immacolate alle città intasate di traffico.
Una riflessione sull’evoluzione, o involuzione, della nostra civiltà, e su come essa viene vissuta dal nostro pianeta. In qualche modo, cosa molto anni ’80, si paventano una distruzione o un rinnovamento. Koyaanisqatsi infatti significa pressappoco, in lingua hopi (del ceppo azteco): vita caotica, o vita fuori equilibrio.
Il titolo del film è l’unica parola a venire pronunciata (o meglio: viene cantata), e la sua interpretazione fornisce l’unica chiave di lettura dei contenuti che vengono presentati. E questa interpretazione passa necessariamente attraverso la musica.
Sarebbe interessante tentare un esperimento: vedere Koyaanisqatsi senza musica.
Verrebbe in mente un film molto simile, come concetto: L’uomo con la macchina da presa. Film muto sovietico del 1929, documentario sperimentale girato dal regista Dziga Vertov, non presentava didascalie ma affidava la propria narrazione allo scorrere delle immagini e agli accostamenti tra di essi. Anche in quel caso, una sinfonia visiva, però muta.
In Koyaanisqatsi, invece, la musica è un elemento importante quanto le immagini. Il nome di Philip Glass viene legato a questo film più che a ogni altra produzione. Il celebre compositore minimalista ha scritto la colonna sonora di Koyaanisqatsi perchè si adattasse alle immagini, o meglio perchè potesse accompagnarle. Il ritmo, la lentezza o a velocità del film, sono scanditi dalle variazioni della musica minimalista.
Forse è meglio, a questo punto, chiarire cosa si intende per musica minimalista. Non è, come forse molti pensano, una forma di musica particolarmente “silenziosa” (come l’ambient) o che faccia uso di pochi elementi.
Si tratta invece di uno stile musicale costruito da ripetitività e microvariazioni.
Se si ascolta bene, si possono cogliere questi minuscoli mutamenti nella struttura delle composizioni che fanno da sfondo al film. O, per dirla in altri termini, si può vedere ogni sequenza del film come un videoclip (siamo nel 1982), in cui immagini e musica vanno di pari passo, con un progredire narrativo che viene scandito tanto dal montaggio quanto dalla musica.
Koyaanisqatsi rappresenta un esempio eclatante di connubio tra dimensione visiva e dimensione sonora. Tanto più che arriva in un periodo storico in cui le sale cinematografiche sono dominate dai vari blockbusters.
Un film in cui la generazione dei Baby Boomers (Glass è del 1937; Reggio del 1940) possono ancora esprimere, fuori tempo massimo, quelle idee artistiche progressiste proprie degli anni ’60. E possono farlo però, allo stesso tempo, senza nulla togliere alla spettacolarità e alla maestosità che un esperimento di questo genere può creare.