Scarpette lucide, camicia con le punte e si scende in pista!
Disco music. Queste sono le prime parole che vengono in mente ripensando al film La febbre del sabato sera (Saturday Night Fever) di John Badham, 1977. Pochi film, come questo, sono stati completamente oscurati dalla propria colonna sonora, influenzando la cultura pop più di quanto ci si aspettasse.
Già la sequenza iniziale, nella quale John Travolta cammina atteggiandosi per le strade di New York sulle note di Stayin’ Alive, è rimasta impressa nell’immaginario collettivo, ed è stata parodiata innumerevoli volte (per esempio dai Simpson). Ed è anche questa la sequenza che esprime l’essenza del film. La musica, i pellegrinaggi in discoteca dei protagonisti, sono un modo per “restare vivi”. Restare vivi in una città e una cultura altrimenti soffocanti e opprimenti, fuggire dalle poche prospettive di un lavoro senza sbocchi e di una vita altrimenti misera.
Questo è quello che molti non hanno capito de La febbre del sabato sera, o meglio, quello che si è dimenticato.
Il film di John Badham doveva infatti essere un dramma sociale. Aveva soltanto parzialmente l’intento di catturare lo spaccato di una sotto-cultura giovanile come quella della disco music. Lo provano i diversi temi affrontati, da quello della sessualità e della droga a quello del razzismo, per terminare con un finale tragico che nessuno si ricorda più.
Perchè de La febbre del sabato sera è rimasto ben altro. E cioè, come si diceva, la musica. Le iconiche scene di ballo con John Travolta e Karen Gorney. Pantaloni a zampa, luci psichedeliche, sfera da discoteca. Lo stesso John Travolta, tramutato in superstar internazionale nei panni del celebre Tony Manero, il post-moderno mito del “povero, ma bello”.
Ma i veri protagonisti de La febbre del sabato sera sono altri, e non compaiono nel film. Si chiamano Barry, Robin e Maurice Gibb, meglio noti come i Bee Gees. Le loro canzoni sono assolutamente imprescindibili da questo film. A cominciare dalla già citata Stayin’ Alive, che probabilmente tra cento anni verrà studiata come reliquia indimenticabile della cultura passata. Una delle canzoni più famose della storia, punto.
Ma ce ne sono poi altre: More Than a Woman, You Should Be Dancing, Jive Talking, How Deep Is Your Love. Ognuno di voi, solo leggendo questi titoli, sarà sicuramente in grado di ricordare istintivamente come suona ognuno d questi pezzi. Al punto che non occorre necessariamente aver visto il film.
E non finisce qui.
Oltre alle canzoni dei Bee Gees, la colonna sonora de La febbre del sabato sera costituisce praticamente una specie di greatest hits della miglior disco music dell’epoca. Ci sono anche: A Fifth of Beethoven, di Walter Murphy; Night on Disco Mountain, di David Shire; Open Sesame, dei Kool & the Gang; Boogie Shoes di KC and the Sunshine Band; e, per chiudere in bellezza, Disco Inferno di The Trammps (esatto: “burn, baby burn“).
Viene da pensare: c’è una mente dietro tutto questo, vero? Non può essere un caso fortuito, un film non può essere diventato un tale cult per la cultura pop così per caso. Indovinato. Il nome è quello di Robert Stigwood, storico produttore e manager inglese, l’uomo che ha costruito proprio la carriera dei Bee Gees, ma è stato manager anche di altri gruppi come i Cream. Le cose si fanno più chiare quando si scopre che Stigwood ha curato le produzioni teatrali di celebri musical come Hair e Jesus Christ Superstar. E dopo La febbre del sabato sera, sempre assieme a John Travolta, Stigwood produrrà Grease (1978).
Insomma, La febbre del sabato sera è più di quello che sembra, ma allo stesso tempo è meno di quello che sembra. Un film che, senza pretese ma con molto calcolo, ha segnato la cultura occidentale più di molti capolavori d’autore o di molte produzioni commerciali accuratamente “targetizzate”. Nessuno della generazione che è vissuta all’epoca si è mai più scordato quel film. Non solo: anche noi, delle generazioni più giovani, lo conosciamo bene pur avendolo visto magari solo una volta. Ad aiutarci sono tutte le continue ed infinite citazioni, dalle serie tv al recente Ready Player One di Steven Spielberg (2018).
L’impatto sonoro e visivo de La febbre del sabato sera è qualcosa che penetra in profondità, marchia un momento indimenticabile e fondamentale nella storia e nella cultura del novecento.
Già è oggetto di studio, di omaggi e di nostalgiche rivisitazioni. Già è un mito.