Rabbia Furiosa – Er Canaro: recensione del delitto nell’immaginario comune
Sergio Stivaletti gira "Er Canaro - Rabbia Furiosa" basandosi sulla vulgata del racconto popolare senza risparmiare lo splatter della (presunta) tortura.
Sergio Stivaletti, uno dei più apprezzati direttori degli effetti speciali, scrive e dirige il suo terzo lungometraggio: Rabbia Furiosa – Er Canaro.
Il fatto di cronaca degli anni ’80 tornato alla ribalta grazie a Dogman di Matteo Garrone, viene rimesso in scena secondo un’altra prospettiva.
Rabbia Furiosa, com’è intuibile dal titolo, non è una costruzione idealizzata e fuori dal tempo come l’ha immaginata Garrone (che ha girato vicino Napoli, in un tempo non meglio precisato) ma è un film che trasuda romanità da tutti i pori.
Fabio “Er Canaro” (Riccardo De Filippis) è appena uscito dal carcere dopo aver scontato otto mesi a causa del suo amico/aguzzino Claudio (Virgilio Olivari) che lo reintroduce subito nel giro.
Il rapporto di amore-odio è fortissimo, ma il Canaro subirà ogni tipo di vessazione nonostante gli amici e perfino un commissario di Polizia lo spingano a ribellarsi. La vendetta cova all’interno del protagonista che subisce una discreta evoluzione.
La “Rabbia Furiosa” di Stivaletti esce fuori dopo alcuni torti imperdonabili subiti che, a differenza del Canaro di Marcello Fonte, non sono sociali ma crudi e personali.
Er Canaro: che è successo veramente quella notte?
Per tutti i romani cresciuti a cavallo di quegli anni, le vicende del Canaro e del suo aguzzino sono a pieno titolo nell’immaginario comune. “Chi non ha mai parlato del Canaro e delle sue torture?”, dice Stivaletti.
Il film ricostruisce la versione canonica della storia smentita dall’autopsia: la tortura selvaggia, l’amputazione di parti del corpo, lo “shampoo al cranio”, tutti particolari che il film non risparmia allo spettatore. Ma tutto sommato in un minutaggio contenuto (gli ultimi dieci minuti del film).
È forse proprio questo il problema del film: il minutaggio troppo lungo.
Un film che rasenta le due ore è un’ardua sfida per il genere splatter, men che mai per un soggetto del genere. È una sfida probabilmente persa in quanto ne risente la narrazione. Complice il fatto che la centralissima evoluzione psicologica di Fabio non è esplicitata benissimo, con il film che ne risente nei minuti centrali venendo leggermente svalutato. Alcune sottotrame sono veramente interessanti – come quella della droga sintetica –  ma da sole non reggono il gioco.
Venti minuti di suggestioni da horror italiano
L’altra faccia della medaglia sono gli ultimi 20/25 minuti del film: la bravura del regista negli effetti speciali è evidente e l’adrenalina è palpabile. Alcune inquadrature ed alcune suggestioni porteranno lo spettatore con la mente ad un film di un tardo Dario Argento (Opera, per esempio).
Il montaggio frenetico della parte più attesa, mettendo in parallelo le torture del Canaro al blitz della Polizia contro proprietari di cani da combattimento, rende la scena quasi onirica, ed i sorrisi diabolici di Riccardo de Filippis fanno il resto.
“La scena che mi ha traumatizzato di più è…”
Ciò che colpirà più gli spettatori, nonostante le torture riprese fedelmente, sarà la violenza psicologica; sottile e subdola per Garrone, evidente e umiliante per Stivaletti.
Il climax di pressione intorno al personaggio giustifica anche le violenze aberranti che saranno compiute, come la vendetta di un Davide contro Golia. Il problema, però, è che le interpretazioni dei due protagonisti non riescono a pieno a rendere l’idea dei caratteri complessi e tormentati dei personaggi che interpretano. Probabilmente sempre per il discorso del minutaggio, che dilata il prequel della tragedia oltre il dovuto.
Ad ogni modo quello del Delitto della Magliana rimane un crimine degno di essere raccontato per aver segnato una generazione di ragazzi cresciuti all’ombra della Capitale e – perchè no – delle ingiustizie. Ma soprattutto è giusto dare risalto ad entrambe le versioni, quella popolare di Stivaletti e quella processuale di Garrone, a costo di affrontare le più svariate polemiche.