Motta – Recensione del secondo album solista Vivere o morire

Motta
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Dopo il successo de La fine dei vent’anni prosegue la carriera solista del cantautore indie.

Il secondo disco è sempre il più difficile. Lo è ancor di più quando con il primo si raggiunge una popolarità notevole, come nel caso di Motta. Acclamato o criticato da pubblico e stampa musicale, sicuramente il suo primo disco è stato al centro dell’attenzione per parecchio tempo. Abbiamo parlato di questo e molto altro nella nostra recente intervista a Motta.

Motta, già noto come membro dei Criminal Jokers, ha intrapreso la carriera solista con il disco La fine dei vent’anni, pubblicato nel 2016.

Il successo non tarda ad arrivare con la diffusione dei singoli Sei bella davvero, La fine dei vent’anni e Del tempo che passa la felicità.

Poco tempo dopo il disco riesce anche a vincere il premio Tenco, come miglior Opera prima del 2016.

Vivere o morire, pubblicato ad Aprile 2018, è un lavoro che cerca di sviluppare ciò che Motta aveva iniziato nel 2016.

Il disco si apre volutamente con il pezzo Ed è quasi come essere felice, una canzone che con il suo ritmo coinvolgente, le percussioni, le voci di sottofondo riesce a costruire un crescendo che carica d’energia l’atmosfera di quegli stessi colori che avevano caratterizzato il disco precedente.

Il movimento, la crescita e il cambiamento si esplicitano con il secondo brano Quello che siamo diventati. Un arpeggio, un suono leggero e acustico accompagnano la particolare voce del cantautore nei suoi versi che sembrano fare l’eco a quella giovinezza svanita o sfuggita già trattata nel lavoro precedente.

“Giovani la sera, giovani nei suoni

Per poi vantarsi di avere due capelli bianchi

Non riesco a ricordare i nomi

Di chi mi abbraccia per fare finta di aiutarmi”

Inizia la title track e per un attimo sembra di sentire una canzone di Andrea Appino, degli Zen Circus. Vivere o morire è il pezzo dove Motta racconta e sviluppa il filo conduttore che sta alla base di questo album. Una canzone che parla di sé, un flusso di coscienza, che però riesce a coinvolgere l’ascoltatore e renderlo partecipe. Si tratta probabilmente del testo e del brano più convincente del disco. Le riflessioni sul tempo che passa e la felicità (per citare lo stesso Motta due anni più giovane), il coraggio e la paura, la vita e le sfide da affrontare riescono a delineare un testo che, con la sua semplicità, risulta spontaneo e sincero, cosa non molto comune nell’indie contemporaneo.

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Motta coverLa nostra ultima canzone è l’opposto del brano precedente. Una canzone con spunti interessanti, ma che suona come classico pezzo indie pop, con lirica e musica perfettamente costruiti per accattivarsi il pubblico del genere. Il tema è l’amore quando ormai è finito, con tutte le emozioni e le sensazioni che ne conseguono. 

Un ritmo rapido e un ritornello orecchiabile rendono questo brano il primo singolo di successo del disco.

Chissà dove sarai parte con un arpeggio e si sviluppa più lentamente. Un amore nostalgico, cantato da lontano, la dispersione dei sentimenti che si concretizza in ipotesi di vita vissuta. Un dialogo, una riflessione che si concludono con la paura dell’oblio e quel rumore di fondo “e stai iniziando già a dimenticare”.

“Mi immaginavi diversa

Eppure sono contenta

In equilibrio perfetto fra tutto quello che ho perso”

L’amore rimane centrale e l’album prosegue con il rapido e più leggero Per amore e basta. Poi i suoni si fanno più dolci e gli archi danno respiro e ammorbidiscono l’ascolto nella suggestiva La prima volta.

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Una ritmo spagnolo e atmosfere che ricordano La Flaca di Jarabe de Palo caratterizzano il brano E poi ci pensi un po’. Motta sembra ritornare malinconico e nostalgico. Ripensare al passato, ma non voler tornare indietro. Guardarsi alle spalle ma sapere che l’unico posto in cui puoi vivere è il presente, il qui e ora. Una conclusiva sfumatura d’ottimismo traspare dalla lirica della canzone.

A concludere questa crescita del Motta solista è Mi parli di te. Un brano che tocca sempre i temi cari all’autore: amore, tempo che passa e divario tra sogni e realtà. L’autore lo fa con un dialogo padre figlio, che riesce a commuovere e colpire nel segno. Il tempo passa, ma siamo ancora in tempo.

“E per un attimo sembri contento

E in un abbraccio scopriamo le carte

Babbo, siamo ancora in tempo

Siamo ancora in tempo”.

Il disco da un punto di vista strettamente musicale risulta certamente più piatto e omogeneo del precedente. Pesa su questo la scelta di Motta di voler lavorare in solitudine sulla maggior parte dei pezzi. I contenuti sono però all’altezza della situazione. Motta ci dimostra che un cantautorato senza troppi giri di parole e decorazioni stilistiche si può ancora fare. D’altro canto ci sono ancora ampi margini di miglioramento. Il terzo album potrà confermare o smentire il fenomeno Motta, non ci resta che aspettare per scoprirlo.

motta
Genere: Indie Pop
Anno pubblicazione: 2018