Tutti i film di Kubrick classificati in ordine di gradimento

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4) Shining (1980)

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Il maestoso Hoverlook Hotel si trova nello stato del Colorado ed ha bisogno di un custode. Il compito viene così affidato a Jack Torrance, insieme con sua moglie Wendy ed il figlioletto Danny trascorrerà il lungo inverno in questa struttura. Il posto è ben rifornito di provviste ed altro, ma il problema non saranno i viveri piuttosto la solitudine, la noia, l’alienazione. Kubrick filma il suo film più angosciante, entrando di prepotenza nel genere horror. La camera si avvicina lentamente ma impetuosa; la costruzione della scena è maniacale adornata dalla prospettiva centrale, firma del maestro. Numerose sequenze sono divenute un simbolo del genere, tra queste la scena dell’accetta.

In questa occasione la battuta ‘Here’s Jhonny’ fu frutto di un’improvvisazione di Jack Nicholson, nei decenni si è trasformata in una citazione celebre.

Parlando degli interpreti il protagonista è impeccabile, e raramente si ammira un attore sullo schermo così completo. Shelley Duvall interpreta la moglie Wendy, bravissima anche lei; si racconta che durante le riprese e successivamente l’attrice ebbe un forte crollo nervoso. L’atmosfera sul set non doveva essere fresca e piacevole. Sono numerose le teorie e le leggende metropolitane che girano intorno a questa pellicola, fu anche girato un documentario solo su Shining dal titolo Room 237. Shining è tratto dall’omonimo best-seller di Stephen King, e sorprendentemente si distacca molto dal libro. Le differenze sono molte, Kubrick fece delle scelte audaci e si concentrò di più su Jack Torrance rispetto a Danny (che nel libro assume un ruolo più centrale). Dopo aver visionato il risultato King inorridì, ma noi al contrario siamo lieti di quest’opera.

Kubrick dimostra che la vera paura, la vera tensione si costruisce senza lo splatter e la violenza, ma piuttosto con una visuale netta di un uomo che perde il contatto con la realtà.

Questo non vuol dire che il sangue manchi del tutto. Non resta che guardare e riguardare quest’opera sublime, che conferma l’indiscutibile talento di Stanley Kubrick. 

(a cura di Francesca Moretti)

3) Barry Lyndon (1975)

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Barry Lyndon è, tra le opere del Maestro, una di quelle che più si prefiggono di raccontare una storia di stampo classico, in cui è possibile scorgere numerosi parallelismi con il Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga.

Una storia antologica che si protrae per un lungo lasso temporale, esplorando temi come l’arrivismo, la rivalsa sociale, e infine l’impossibilità di fuggire dal proprio passato.

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Barry Lyndon è uno dei pochi film che possono vantare il raggiungimento della perfezione estetica, o almeno di ciò che più gli si avvicina.

Ogni inquadratura punta dritta all’evocazione delle atmosfere tipiche dell’immaginario collettivo del XVIII secolo tramite la proverbiale maniacalità di Kubrick nella cura dei dettagli, anche del più trascurabile. La fotografia, curata da John Alcott, è totalmente priva di illuminazioni artificiali, affidandosi invece unicamente all’uso di candele; le scenogragie incantano costantemente l’occhio, richiamando nella loro composizione i dipinti di artisti come Hayez, William Hogarth, Joshua Reynolds, Chardin, Antoine Watteau e Zoffany.

Ciò che rende la narrazione del film una delle più efficaci della storia del cinema, donando un ritmo che non lasci mai indietro lo spettatore sul percorso psicologico del protagonista, è il narratore onniscente, che commenta le vicende di Barry con cieca imparzialità e sottile ironia; senza il quale la totalità delle scene descrittive non avrebbe avuto una chiave di lettura fondamentale per la morale di cui il film si fa carico. Memorabile la prova di Ryan O’Neal nel ruolo centrale; da segnalare inoltre l’eccellente qualità del doppiaggio italiano in cui spicca un Giancarlo Giannini sul protagonista con nulla da invidiare al Jack Nicholson di Shining.

(A cura di Daniele Bellucci)

2) Arancia meccanica (1971)

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Stanley Kubrick non ha mai amato lavorare sui personaggi.

Fin da quando con Il Dottor Stranamore ottenne per la prima volta il controllo delle proprie opere, le storie personali sarebbero sparite dalla sua poetica. Apologhi mistici di fantascienza religiosa, epopee storico-politiche, psicanalisi della violenza familiare e della guerra: le idee e i concetti avrebbero sempre avuto la precedenza sulla caratterizzazione di un protagonista. E’ (anche) per questo che Arancia Meccanica rimane un unicum. Perché Arancia Meccanica parla si del destino dell’umanità, della sua storia, della sua natura e del suo ruolo nella società dell’oggi e del domani. Ma lo fa attraverso un eroe. Un eroe malvagio.

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Alex DeLarge è l’icona cinematografica più complessa e controversa di sempre. La Macchia di Rorschach che impedì a molti di tollerare il film a livello etico (Roger Ebert, come noto, lo stroncò).

La creazione più complessa di Kubrick, che, con la consueta meticolosità da ingegnere nucleare, cercava di formare in lui la personificazione definitiva dell’ambiguità umana: che uccidesse, stuprasse, si ribellasse con foga biblica al mondo intero… e che il pubblico amasse proprio per quello. La partecipazione con cui seguiamo la storia di Alex, e come sorridiamo con lui al suo ghigno finale, è un’altra delle incredibili vittorie di Stanley Kubrick sull’immaginario collettivo. E rende Arancia Meccanica il più iconico dei suoi film.

(A cura di Saverio Felici)

1) 2001: Odissea nello spazio (1968)

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In principio era il Monolite, il monolite era presso Dio, e il monolite era Dio.

Navicelle che fluttuano nello spazio a ritmo di valzer. Un computer ingovernabile, in rivolta. Un osso impugnato da una scimmia che, una volta lanciato, muta, trasformandosi in un’astronave. L’ineluttabilità di spazio e tempo. Il mistero ultimo dell’uomo.

Suggestiva e mistica, la pellicola di Stanley Kubrick è un moderno poema epico dal potente contenuto emotivo, un’evocazione del viaggio omerico, dove aleggiano atmosfere di memoria nietzschiana.

Opera d’arte senza precedenti, unica e rivoluzionaria, 2001: Odissea nello spazio non è un semplice “film”. È il cinema nella sua forma più pura, dove il medium diventa messaggio. È un’esperienza non verbale, metafisica e – in quanto tale – universale, che trova la sua potenza narrativa nell’intensità con cui si rivolge al subconscio dello spettatore.

Congiungendo candore e apatia, combinando intarsi ricercati dal gusto neoclassico e pavimenti avveniristici che emanano una lucentezza abbagliante, il regista statunitense anticipa la convenzionale iconografia del tradizionale immaginario fantascientifico, dando vita ad un macrocosmo dominato da elementi inediti e suggestivi, in grado di affascinare profondamente lo spettatore.

Cinquant’anni fa, nel 1968, Stanley Kubrick e il suo 2001: Odissea nello spazio sconvolsero irrimediabilmente le sorti della Settima arte, delineando una modalità di fare cinema completamente diversa da quella tradizionale, a lui contemporanea.

(a cura di Letizia Hushi)