Ultimo capolavoro del maestro Stanley Kubrick, la pellicola uscì postuma nel 1999 a quattro mesi dalla scomparsa dell’autore.
Un’intrigante gioco di perversione che scopre le più recondite implicazioni della vita matrimoniale in un teatro fatto di sesso e depravazione, desideri, riti fanatici, brama e potere. Adattamento dell’omonimo romanzo di Arthur Schnitzler “Doppio Sogno“, in una New York contemporanea, Kubrick pone lo sguardo sul celato e il non detto: lo smarrimento di William (Tom Cruise), svuotato delle sue certezze e le confessioni di natura erotica di Alice (Nicole Kidman) sarà l’incipit di un quadro fatto d’immagini dionisiache che esalteranno il carattere esibizionistico e primitivo del sesso, lo strumento, in questo caso, del potere massonico.
In uno specchio simulacro di una verità nascosta, attraverso un viaggio-sogno, Kubrick ci mette di fronte ad un’opera maestosa, pregna di significato e simbolismi.
(a cura di Ettore Bocci)
7) Full Metal Jacket (1987)
Full Metal Jacket è il penultimo film realizzato da Stanley Kubrick. Tratto come al solito da un romanzo, Nato per uccidere di Gustav Hasford, racconta l’America e gli americani ai tempi della Guerra del Vietnam. Un conflitto che ha segnato una generazione e che merita un’attenta analisi sociale, come del resto hanno fatto altri grandi registi del calibro di Oliver Stone e Francis Ford Coppola.
Il film è diviso in due grandi atti. Il primo ci mostra l’addestramento dei Marines prima di poter entrare in azione nel conflitto. Un primo atto in cui la scena viene dominata dal sergente maggiore Hartman (Lee Ermey), duro uomo di guerra che ha il compito di istruire le giovani leve. Sebbene il vero protagonista possa essere individuato nel soldato Joker (Matthew Modine), c’è un’importante dimensione collettiva che abbraccia molti personaggi.
Il secondo atto tratta invece il conflitto vero e proprio, mostrandoci tutte le storture della guerra.
Kubrick lo fa però con grande intelligenza: si tira fuori da qualsiasi schieramento, interessandosi soprattutto degli uomini in guerra più che della guerra stessa. Un conflitto che non è solo bellico: gli stessi personaggi sono spesso animi conflittuali, estremamente divisi tra la necessità della guerra e gli ideali pacifisti. L’elmetto di Joker, con la scritta Born To Kill e lo stemma della pace ne è perfetto emblema. È proprio il dualismo dell’essere umano ad venire messo in scena. Un essere umano civilizzato che sa rendersi protagonista di atti animaleschi, selvaggi. Un ritratto ben poco lusinghiero non solo sull’ipocrisia americana, ma più in generale dell’umanità intera.
La guerra è priva di senso e gli uomini che combattono per essa, smarriti nel caos delle bombe e delle mitragliatrici, non sono altro che i suoi fantocci. Nessuno di loro ha un reale motivo per combattere e per rischiare la propria vita, sono sul fronte solo perché qualcuno li ha costretti a farlo. Marionette prive di coscienza alcuna, che vengono mosse da chi ha interesse a farlo. Un mondo di codardi, che condannano i loro simili alla morte, pur di non ammettere di essere come loro, di essere ancora degli umani con dei sentimenti, intrappolati in un conflitto che gli appartiene.
Orizzonti di gloria, oltre ad essere uno dei capolavori più sottovalutati della storia, è un film eccelso sotto ogni punto di vista, capace di smascherare il volto sadico e malato della guerra e mostrarla al pubblico per com’è realmente.
Un’opera che sa colpire nei punti giusti e che sa esattamente come farlo.
Nella scena conclusiva, ad esempio, possiamo assistere ad una cantante tedesca prigioniera, che intona una canzone in un bar pieno di soldati francesi. Non appena le prime note si spargono per la sala, la guerra muore in tutta la sua follia e l’uomo risorge in tutta la sua emotività, anche se per poco.
(a cura di Davide Roveda)
5) Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba (1964)
È il 1964 e la Crisi dei Missili di Cuba è passata da poco più di un anno, il presidente Kennedy è stato assassinato da pochi mesi ed il lungo capitolo della Guerra in Vietnam sta per incominciare. Nello stesso anno Stanley Kubrick firma una commedia grottesca,Il dottor Stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, passata alla storia come una delle migliori satire politiche di sempre.
La Sala dei Bottoni, il Nazista americano e la chiamata con Dimitri
Il Generale Jack D. Ripper (il nome non può essere casuale) preso dal clima del maccartismo e con una latente follia procurata dalla sua impotenza sessuale, decide di lanciare un arsenale atomico sull’Unione Sovietica. All’insaputa del presidente viene innescato il Piano “R”, un ordigno nucleare capace di mettere fino all’umanità almeno per un secolo e il generale che ha dato l’ordine preferirà il suicidio ad annullarlo. In contemporanea una riunione tra le gerarchie militari ed il Presidente degli Stati Uniti è in corso in una fittizia sala del comando, circondata da schermi e con un tavolo rotondo al centro. La genialità di Kubrick nel ricerare una scenografia così verosimile ha formato l’immaginario collettivo (e di conseguenza tutti i film che son venuti dopo). Il Dottor Stranamore, scienziato nazista che negli USA ha tradotto comicamente il suo cognome tedesco, inizia a vaneggiare piani di distruzioni di massa accompagnandoli con “tic fastidiosi” come fare il saluto nazista. La bomba verrà lanciata, e la scena del soldato che la cavalca è storia del cinema.
Il Dottor Stranamore come germe di militarismo e follia
Kubrick sperimenta e riesce a inserire in 93 minuti di film sul soggetto di Peter George quasi tutti gli elementi del clima da guerra fredda. I nazisti naturalizzati americani, i colloqui comici tra americani e comunisti, manie di guerra e di sessualità nelle gerarchie militari, il fallimento della diplomazia. Un film quasi slegato dai suoi lavori, per diverse discontinuità, ma allo stesso tempo germe della critica alla retorica militaristica in Full Metal Jacket e anche del discorso sulla follia sviluppato in Shining (“è la follia a detenere la verità della psicologia”, avrebbe detto Michel Foucault). Se il film non ebbe il successo sperato, la storia gli ha dato ampiamente ragione.