Estremo ed oscuro, Strade Perdute è un incubo che si sofferma ad indagare le profondità di un animo delirante, è un labirinto interpretabile secondo una miriade di punti di vista.
Con le sue strade tortuose e i suoi corridoi tenebrosi, in cui l’oscurità incombe insopportabile, Strade perdute(David Lynch, 1997) è un resoconto della condizione esistenziale dell’uomo, pellicola esemplare di un cinema post-moderno, analisi delle incertezze che determinano la realtà e della crisi dovuta al crollo delle verità.
La condizione di smarrimento che caratterizza la società moderna si reincarna, trovando la propria plasticità nella complessa struttura del film, riconducibile al nastro di Möbius: una superficie lontana dall’ordinarietà dell’esperienza quotidiana, una figura avente un unico lato, un unico bordo. Impossibile stabilire convenzionalmente una faccia interna o una esterna. Impossibile trovare un sopra e un sotto.
Impossibile tracciare una simmetria.
Il nero ha inghiottito il deserto. Sopravvive solamente una capanna, illuminata dal calore delle fiamme, persa nella solitudine del paesaggio notturno. Visioni adrenaliniche, immerse nella tensione febbrile dell’incubo, si succedono nella mente del protagonista. Isolato nella prigionia, immagina di scomparire, perdere se stesso.
Definito dal regista stesso “un film neo-noir“, Lost Highway è il racconto anamorfico, onirico e straniante dell’esistenza di Fred Madison, anonimo musicista jazz. Un’esistenza che sfuma imprevedibilmente, che trasmuta in quella di Pete Dayton. Due esistenze che perdono i confini che le determinano, i cui limiti si confondono. Due esistenze che diventano una.
Interamente fondata sul tema del doppio, la pellicola è la messinscena della scissione di un individuo che si riconosce nella finzione dell’alterità.
Identità multiple e molteplici manifestazioni dell’io. La casa, sede della sterile tranquillità familiare, si riflette nel capannone, luogo sconosciuto. I capelli rossi diventano biondi e Renee si confonde con Alice. Fred si scambia con Pete. Elementi che si assomigliano sono diversi, quasi antitetici. Gli opposti si sovrappongono, sono uguali. Il doppio, essenza di Strade perdute, si riconosce nell’inganno; coincide con l’inganno; è inganno.
La realtà descritta da David Lynch, prodotto del processo di metamorfosi, è una dimensione incerta e poliedrica, che determina nello spettatore un senso di vertigine.
Nulla è mai davvero ciò che sembra. Tutto può trasformarsi. Ne emerge una conseguente fallacia dei sensi: l’uomo non ha le capacità di cogliere il senso ultimo della vita. Di fronte a lui solo illusioni, solo un velo di Maya impossibile da squarciare.
Superando le paradossali ambiguità del reale, il labile e l’illusorio, superando le identità sfuggenti e il rifiuto delle leggi fisiche che governano l’universo, si riescono a scorgere numerose chiavi di lettura, tra le quali la rilettura secondo il punto di vista freudiano e l’interpretazione psichiatrica.
Caratterizzato da evidenti richiami alla psicanalisi freudiana, Strade Perdutepuò essere interpretato come larestituzione cinematografica delle oscurità della psiche umana, teatro di guerra in cui si scontrano l’Io, l’Es e il Super Io.
Fred Madison e Pete Dayton. Il protagonista e la personificazione di ciò che vorrebbe essere. La realtà contro la dimensione dell’idealizzazione. La somiglianza fisica dei due personaggi – interpretati da Bill Pullman e Balthazar Getty – si oppone al contrasto tra le due personalità, fortemente antitetiche.
Fred, musicista. Un uomo di mezza età che ha trovato un’apparente stabilità nella monogamia, che è tormentato dal fantasma del tradimento di Renee, una moglie distante, apatica, disinteressata. Percepisce una realtà deformata dalle lenti della paranoia. Si reinventa come antieroe: i suoi desideri si incarnano nella persona di Pete, giovane e piacente. L’Io di Fred, imprigionato nella monotonia di una quotidianità da lui non desiderata, risulta essere oppresso tra la volontà del subconscio – di possedere totalmente la moglie, di riconoscersi in ciò che non è e che non potrà mai essere, di essere altro – e il predominio del Super-ego, rappresentato dal cosiddetto Mystery Man.
Accompagnato dalla videocamera, simbolo della realtà effettiva dell’oggetto, il Super Io – Mystery Man si oppone alla percezione distorta del protagonista.
Il ruolo di Mystery Man, censore che giudica atti e desideri, è quello di controllare Fred; di punire i suoi desideri irrealizzabili; di ricordagli ciò che è male e bene, giusto e sbagliato, piacevole e sgradevole; di mostrargli quello che è realtà e ciò che è finzione.
In questo senso, la frase “Non è mia abitudine andare dove non sono desiderato“, posta come epilogo dell’incontro tra Fred e Mystery Man, potrebbe essere interpretata come esplicita rivelazione della reale identità dell’eccentrico personaggio, appartenente alla psiche del protagonista, il quale – come si deduce dalla citazione sopraccitata – avrebbe il totale controllo sulla sua persona. L’appartenenza di tale identità alla dimensione dell’irreale, inoltre, si manifesterebbe nella caduta della certezza delle coordinate spazio-temporali: la bizzarra figura si trova contemporaneamente in due posti diversi.
Strade Perdutediventerebbe la trasposizione di una lotta tra la tangibilità della realtà e la brama di raggiungere l’ideale, specchio di un’umanità infelice che trova la consolazione all’interno di idee-alibi illusorie.
Abbandonando le corrispondenze simboliche del pensiero di Freud e avvicinandosi ad un’analisi dal taglio scientifico, la realtà raccontata da David Lynch sarebbe la manifestazione di una mente labile, molestata dalle visioni alterate dalla pazzia.
Un veicolo percorre velocemente una strada notturna. Non esiste alcuna meta: si tratta di un’odissea verso il nulla dell’oblio. “I’m Deranged” canta la voce di David Bowie, misteriosa e seducente. Sono squilibrato.
La strada percorsa, in cui si proietta la luce dei fari di una vettura ignota, si trasforma in una metafora lacaniana della condizione del protagonista: le strade perdute della fuga psicogena, un disturbo psichiatrico che porta il soggetto a sottrarsi al trauma per dimenticare. L’incapacità di ricordare il passato, la confusione riguardante la propria identità, la creazione di una nuova identità. Le caratteristiche di tale condizione coincidono con quelle che determinano la personalità di Fred.
Abbandonando la complessità del frammentato intreccio narrativo, risulta semplice – adottando questa chiave di lettura – scomporre gli eventi e riordinarli nella loro logicità, seguendo un ordine cronologico. Fred Madison e la moglie Renee, il cui passato è avvolto nel mistero, sono una coppia in crisi: l’uomo è ossessionato da visioni in cui assiste al tradimento. I giorni passano e la visione si trasforma in realtà: rinchiusi nella stanza 26 del “Lost Highway Hotel”, gli amanti vengono scoperti e “giustiziati”.
Secondo questa prospettiva, la realtà e la finzione, frutto della mente instabile del protagonista, si confonderebbero. Lo spettacolo a cui assiste lo spettatore diventerebbe quindi un mosaico di verità e falsità, dove risulta complicato distinguere l’effettivo dall’ingannevole.
La trama di Strade perdute – governata da logiche apparentemente illogiche – diventa il pretesto per mettere in scena un’odissea nelle profondità più oscure dell’inconscio umano, rappresentazione dell’incoerenza del reale e della coesistenza della contraddizione. Del vero e del suo opposto.
Eccentrico e fuori dalle regole della convenzione, il cinema di David Lynch è un viaggio in acque profonde, in acque che, superficialmente calme, celano un pensiero anticonformista, difficilmente interpretabile: l’immensità dell’arte del regista di Missoula, comunicatore del non-detto e del non-identificabile, non può essere inquadrata nella sintesi di un’analisi interpretativa.