Abbiamo deciso di inserire Vincerenella nostra rubrica In Sordina in segno dello scarso interesse, soprattutto dei giovani cinefili, verso Marco Bellocchio, uno dei più grandi registi italiani. Nonostante il notevole successo di pubblico e di buona parte della critica (8 premi ai David di Donattello, tra cui: regia, fotografia, scenografia e montaggio e 4 Nastri d’argento), Vincereè finito troppo presto, se non nel dimenticatoio, almeno nel ripostiglio.
Penalizzato dalla sua stessa ostinazione con cui porta avanti la propria, coerentissima e personale, idea di cinema, sin dal suo sorprendente debutto nel 1965 con I pugni in tasca, diretto alla “veneranda” età di 26 anni. Enfant prodige del cinema italiano, ha sempre sofferto negli anni seguenti, come raramente è capitato nella Storia del cinema, il paragone con il suo primo film considerato da tutti un capolavoro; difatti ormai è diventato un triste stereotipo la frase “bello, ma non come I pugni in tasca”, facile da trovare in molte recensioni dei film successivi.
Bellocchio però ha sempre cercato di rinnovarsi.
dopo un inizio delineato da una forte ideologia marxista ed eversiva (I pugni in tasca, La Cina è vicina, Nel nome del padre, Sbatti il mostro in prima pagina), approda, dopo aver incontrato – e partecipate alle sue sedute – Massimo Fagioli (noto psichiatra anti-freudiano), ad un cinema completamente immerso in suggestioni oniriche, figlie delle idee psicoanalitiche di Fagioli, concependo opere coraggiose e di indubbio fascino, per quanto ostiche, anti-narrative e non del tutto riuscite. Film come: Diavolo in corpo, La visione del sabba e La condanna (Orso d’Oro al Festival di Berlino del 1991).
A questa fase sussegue quella attuale, il Bellocchio più maturo, capace di spaziare tra più argomenti e concetti con un’ecletticità impressionante (benchè mantenga le proprie tematiche autoriali: la critica alla borghesia, l’abbandono materno, la messa in discussione dei dogmi cristiani, la psicoanalisi, l’ossessione affettiva …). Negli ultimi vent’anni ha diretto film di grandissimo spessore artistico : L’Ora di religione – il sorriso di mia madre, Buongiorno notte, Il regista di matrimoni e Vincere.
Sinossi
Anni prima dell’avvento del fascismo, la sarta Ida Dalser (Giovanna Mezzogiorno) ha una relazione con Benito Mussolini (Filippo Timi), ancora agli albori della sua carriera politica. Dal loro rapporto nasce un figlio che Mussolini non accetta. La Dalser, follemente innamorata del Duce, farà di tutto per farsi riconoscere, ma dopo essere stata respinta più volte finirà in un manicomio.
Presentato in concorso al Festival di Cannes del 2009, Vincere è senza dubbio il film più ambizioso, sicuramente anche il più dispendioso, di questo grandissimo cineasta. Ciò che salta subito agli occhi è la maestosità della messa in scena, grazie anche ad una pittorica (ma mai oleografica) fotografia di Daniele Ciprì, Bellocchio dà vita a dei veri e propri quadri viventi, carichi di una fortissima tensione emotiva, che potrebbe apparire ad una prima visione quasi eccessiva. Frastornante e passionale, lo stile visivo non è mai ipertrofico, ma totalmente funzionale alla narrazione.
A Bellocchio interessa l’ossessione e la dedizione che Ida Dalser ha per il duce, relegando gli avvenimenti del fascismo sullo sfondo.
Gli eventi storici non risultano centrali, ma sono infatti mostrati con immagini d’epoca e sovrimpressioni pronte a scandire le varie ellissi narrative, con un montaggio quasi Ejzenstejniano. Indimenticabili la scena dell’incontro tra i due, in cui Mussolini (interpretato da un eccezionale ed eccezionalmente sopra le righe Filippo Timi) viene raffigurato come una bestia notturna che si aggira nei meandri bui della città, con occhi infuocati dalle sembianze ultraterrene e la scena dove il figlio illegittimo getta a terra il busto del dittatore fascista.
Un’opera monumentale e disperata, sicuramente non conosciuta e apprezzata come meriterebbe.
Attendiamo con grandissime aspettative il suo prossimo film: Il Traditore, sul pentito Masino Buscetta, attualmente in lavorazione.