La musica come ossessione per sè stessa di una regina del dramma.
Cleo dalle 5 alle 7 è il più famoso film della regista Agnès Varda, personaggio spesso associato al gruppo della “Rive Gauche” delle Nouvelle Vague. Il film della Varda segue le vicende, nell’arco di due ore (che non corrispondo alla durata del film) della cantante Cleo, la quale è in attesa dei risultati di alcuni esami medici che potrebbero confermare o no una sua grave malattia.
La professione della protagonista segnala fin dall’inizio l’importanza che la componente musicale assumerà nel film. Già nella sequenza d’apertura, quando Cleo si fa leggere le carte da una chiromante, ella indovina che lei appartiene al mondo della musica. Poco dopo, in una sequenza che solo una regista della Nouvelle Vague avrebbe potuto realizzare, la ragazza scende le scale del palazzo poggiando i tacchi sugli scalini esattamente a tempo con la musica, extra-diegetica, che la accompagna.
In Cleo dalle 5 alle 7 la musica è un elemento che esce e rientra continuamente dal film, a volte come fattore perturbante, a volte come sinonimo di spaesamento. La musica pop, per esempio, accompagna l’estraniamento di Cleo dal mondo. Risentendo la sua stessa voce nelle canzoni da lei interpretate, ella si sente quasi staccata da sè stessa, proiettandosi in un futuro prossimo in cui, avuti i risultati degli esami, la sua vita terminerà prematuramente.
Cleo, come viene definita anche dalla domestica, è una regina del dramma, e crea e disfa da sola questi significati. In taxi, sentendosi alla radio, chiede alla tassista di spegnere la musica. Dice che la registrazione sarebbe da rifare. Più avanti, mettendo un suo disco in un locale, non può fare a meno di notare che nessuno ascolta. La musica simboleggia le imperfezioni di Cleo, che ne è parte. E non a caso a fare ciò è la musica pop, “commerciale”, non artistica, una musica che cioè tradisce ambizioni irrealizzate.
Ma tradisce anche altro, e cioè l’incapacità di Cleo, d’altra parte, di riconoscere i propri lati buoni e di capire quante cose ha realizzato. Il bicchiere mezzo pieno, insomma. “Ho fatto “solo” tre singoli” dice ad un’amica. Come se fosse cosa da tutti.
Ben altra valenza assume la musica in una sequenza centrale del film: quella in cui Cleo lavora alle nuove canzoni con un compositore e un liricista.
Questa sequenza è interessante innanzitutto perchè rivela molto su come funzionava l’industria musicale all’epoca. Cleo è un’interprete famosa, viene riconosciuta per strada e vive in una casa lussuosa, grande e spaziosa. Eppure, per la sua “arte” ha bisogno dell’appoggio di altri autori, essendo ella incapace, come molti bravi interpreti, di scrivere musica. Ciò potrebbe essere un altro elemento da aggiungere alla base della sua insicurezza.
I tre lavorano insieme a diverse canzonette, filastrocche pop e scherzose, finchè Cleo non viene sopraffatta ancora dalla tensione per l’attesa dei suoi risultati. Questa tensione la accompagna per tutto il film, emergendo e scomparendo continuamente, ma senza mai svanire del tutto. Allora, la ragazza comincia ad interpretare una canzone molto più composita ed artistica rispetto alle precedenti, che si intitola Le cri de l’amour (Il pianto dell’amore). Solo questa canzone le fornisce l’occasione di liberare, con la sua interpretazione drammatica, tutta la sua tristezza e e il suo dolore.
La “regina del dramma” è nel suo ruolo, nel posto giusto al momento giusto. Perciò è proprio questa la scena chiave del film, quella che permette di interpretarlo in toto. E c’è un elemento che rende chiara questa importanza. Quando Cleo comincia a cantare, è accompagnata solo da un pianoforte. Ma quando giunge al climax emotivo della canzone, possiamo udire un’intera orchestra, nonostante al termine ella si trovi sempre nella sua villa e con a fianco soltanto il pianista che ha suonato fin dall’inizio. L’orchestra è nella sua testa, è la musica che sottolinea il dramma che ella scrive su sè stessa.