5 dischi che hanno superato il primo album

Primo album
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“Non sono più quelli di una volta, il loro primo album è sicuramente il migliore”.

Una frase tristemente famosa, che salta sempre fuori non appena si comincia a parlare di un qualsiasi artista. La convinzione che la spontaneità, l’impeto giovanile, le infinite (in teoria) idee del primo album siamo l’inizio della carriera di un gruppo e al tempo stesso il punto più alto di essa è radicata nelle menti di molti. E noi, invece, siamo convinti che la maturità, il cambio di genere, della “roba” di migliore (o peggiore) qualità siano in grado di creare qualcosa di nettamente superiore rispetto all’opera prima. Abbiamo selezionato cinque gruppi e cinque relativi dischi con i quali essi hanno superato il loro stesso album d’esordio.

1. The Cure – “Disintegration” (1989)

Primo album

Il primo disco dei Cure, Three Imaginary Boys, è datato 1979. Ai tempi, i Cure erano tre ventenni inglesi fissati con il punk che volevano fare qualcosa che non suonasse terribilmente uguale ad un disco dei Sex Pistols. Non che non ce l’abbiano fatta: Three Imaginary Boys ha un basso martellante, qualche schitarrata nello stile dei Clash, un’armonica a bocca e un discreto sperimentalismo, che raggiunge forse il suo apice nel nosense di So What?, dove un Robert Smith completamente ubriaco legge al microfono il testo della pubblicità di un set per decorare torte.

Dieci anni e svariati cambi di formazione dopo, i Cure eliminano il punk scarno dell’esordio, dilatano notevolmente la durata dei pezzi e li riempiono di tutto ciò di cui avrebbero voluto riempirli da anni: Disintegration non è più limitato dai producer o dalla scarsità di elementi (nel 1989 sono diventati ormai sei i membri della band), vedendo un indiscusso trionfo della depressione di Smith e di tutte le sue sfaccettature come tematica principale, che porta ad una varietà compositiva mai vista prima nella parabola della band.

 

2. Sonic Youth – “Daydream Nation” (1988)

Primo album

Lo scopo dei Sonic Youth, sin dal primo giorno in cui hanno deciso di suonare insieme, è sempre stato uno solo: essere ascoltabili e al tempo stesso inascoltabili. Chiaramente, produrre un disco che fosse insieme ascoltabile e inascoltabile sarebbe stato impossibile per una band senza sufficiente esperienza, che rifiutava sia l’ascoltabile canonico che l’inascoltabile fine a sè stesso; inutile specificarlo, nella stesura del primo album l’elemento innovativo ha preso il sopravvento. L’eponimo Sonic Youth del 1982 è quasi una jam session, una ricerca, a tratti forzata, dell’originalità attraverso registrazioni in bassa fedeltà, voci cantilenanti, distorsioni taglienti sulle accordature standard, destrutturazione totale dell’alternative rock.

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Non ci è voluto molto perchè i Sonic Youth capissero che per fondere caos e ordine non basta rompere le strutture: bisogna crearne di nuove. Cambiate le accordature, le chitarre improvvisamente suonano in maniera diversa; non c’è più bisogno di fare solo confusione, la voce non deve più essere solo un altro elemento dissonante. Il doppio album Daydream Nation, anno 1988, abbraccia lo spirito sempre più pop del rock alternativo (Teenage Riot) e la furia hardcore (Silver Rocket); è la definitiva (con)fusione di noise e indie, nonchè una gloriosa dichiarazione di autonomia: siamo i Sonic Youth, e facciamo quello che vogliamo. E no, le accordature standard non ci piacciono più.

 

3. Modest Mouse – “Good News For People Who Love Bad News” (2004)

Primo album

Dopo aver assistito ad una carriera che vanta venticinque anni di dischi magnifici, abbiamo il giusto senso critico per capire che dai Modest Mouse non ci si sarebbe potuti aspettare altro che un continuo miglioramento. Ma in quel 1996, quando tirarono fuori This Is a Long Drive for Someone with Nothing to Think About, quei sedici brani sembravano già qualcosa di insuperabile: un indie rock schizofrenico e malinconico fortemente evocativo (impossibile non pensare subito alla strada forografata in copertina quando si ascolta questo disco).

Invece, complice probabilmente il salto di qualità della roba che hanno iniziato ad assumere dopo il successo del primo disco, il miglior lavoro dei Modest Mouse è arrivato nel 2004. Good News for People Who Love Bad News meriterebbe il titolo di “Miglior disco alternative della storia” anche solo per il fatto che i tre svitati di Washington abbiano messo in piedi una formazione degna dei Gogol Bordello: tromba, sassofono, violino, banjo (This Devil’s Workday) e chissà cos’altro.

La sperimentazione, già prerogativa del gruppo, arriva a livelli altissimi: diteci, quale altro gruppo alternative può vantare un assolo di fiati come intro del proprio disco? Neanche con l’arrivo di Johnny Marr (ex The Smiths) alla chitarra nel successivo We Were Dead Before The Ship Even Sank (2007) i Modest Mouse sono riusciti a spingere l’alternative rock così lontano come in questo disco, che suona immaturo nella sua maturità.

 

4. Iosonouncane – “DIE” (2015)

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“Il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista”, cantava Caparezza ne Il secondo secondo me. Jacopo Incani, in arte Iosonouncane, ha avuto una grande “fortuna”: il suo primo disco, La macarena su Roma, è una divertente e pungente critica all’Italia contemporanea e alla disinformazione articolata in loop elettronici e chitarre acustiche, ma è passato senza lasciare significative tracce a livello di apprezzamento del pubblico, mentre la critica ha riconosciuto al cantautore sardo i suoi meriti senza però fargli acquisire una certa rilevanza  ( finalista al Premio Tenco 2011 come “Miglior opera prima”, è stato superato da L’ombra della mosca di Cristiano Angelini).

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Scrivere un secondo album, quindi, per Iosonouncane, è stato come ripartire da zero. Lui però ha voluto complicarsi la vita, tant’è che ci sono voluti cinque anni per comporre e registrare questo disco. Il risultato? Abbandonati i toni ironici, DIE dimostra che si può parlare d’amore senza risultare melensi, e che un concept album incentrato sui pensieri di due amanti può non essere così banale come sembra, a partire dal titolo: “die” vuol dire “giorno” in sardo, “morire” in inglese ed è l’articolo determinativo femminile in tedesco. Lo stesso Iosonouncane non ha mai voluto fornire la chiave di lettura.

Con i suoi brani eterei, il mix geniale di chitarre acustiche, fiati ed elettronica, una voce come in Italia non ce ne sono e soprattutto la capacità di sdoganare l’amore nella scena indipendente aprendolo ad innumerevoli interpretazioni, Iosonouncane ha spinto un po’ più in là i confini dell’indie italiano. Ed è ancora oggi insuperato e, forse, insuperabile.

 

5. Fast Animals And Slow Kids – “Hybris” (2013)

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Hybris, ossia “presunzione“. Il nome del secondo disco dei Fast Animals And Slow Kids, uscito nel 2013, è estremamente sincero: i perugini urlano i loro problemi nel microfono e sono sfacciatamente convinti che a qualcuno importi. E hanno ragione.

L’esordio dei FASK, Cavalli (2011), ha lasciato interdetti parecchi ascoltatori a causa della sua attitudine quasi demenziale: era sostanzialmente un disco degli Elio e Le Storie Tese suonato dai Biffy Clyro; non esattamente ciò che la scena italiana stava cercando. Solo due anni dopo, l’influenza degli Elii non c’è più, e i FASK sono semplicemente loro stessi, cantando non più la nevrosi ma la rassegnazione su strumentali trionfali e massicce. La redenzione è avvenuta in modo del tutto improvviso e ha riversato in undici tracce tutto ciò che non era stato gettato nel disco precedente. Hybris risulta pieno di sentimenti contrastanti spesso accostati, è lunatico e ossimorico, è un disco vero che vuole raccontare solo cose vere. E per questo non si può che volergli bene.