La redazione della scimmia ha intervistato Letizia Cesarini in arte Maria Antonietta, in occasione dell’uscita del suo ultimo album “Deluderti”.
Una delle più interessanti rivelazioni del panorama musicale italiano del momento. La sua musica rivela forti connotazioni punk, un punk inteso più come attitudine e volontà di ribellione, ispirandosi a molte figure femminili per portare avanti un discorso rivolto appunto al coraggio del gentil sesso.
Potremmo dire che hai cominciato relativamente tardi ad approcciarti al mondo della musica, iniziando a suonare all’età di 18 anni. Poi, come dichiarato in un’intervista, è arrivato un momento di svolta con l’incontro con Bob Corn a Verona nel 2007
Si, diciamo che con la musica ho cominciato relativamente presto da ascoltatrice perché sono sempre stata una grande appassionata. Poi è arrivato in un secondo momento la voglia di cimentarmi in prima persona in quest’attività. Sicuramente dici bene il momento di svolta è avvenuto con l’incontro Tiziano Sgarbi (in arte Bob Corn).
Quando lo incontrai a Verona ero andata a vedere un concerto di una delle mie band del cuore, che sono i Parenthetical girl, e Bob Corn apriva questo concerto. E lì insomma lo conobbi e di lì mi propose di registrare queste canzoni che io facevo e suonavo nella mia stanza, in una dimensione totalmente privata. E quindi è stato in qualche modo il punto zero ecco di un mio percorso che poi di lì è cominciato.
Hai iniziato a muovere i primi passi nel mondo della musica con un duo: Young Wrists, poi l’esordio da solista. Da dove quest’esigenza?
Guarda, quel progetto a cui ti riferisci è stata sicuramente un’esperienza importante perché ti confronti con la scrittura a quattro mani. Quindi è qualcosa di molto stimolante e anche molto difficile. Poi diciamo che io avevo una visione mia che volevo sviluppare e mi è sembrato ecco più sensato e più razionale continuare con qualcosa che fosse soltanto mio, per rendere giustizia a questa visione che avevo.
Quali sono state per te le più grandi influenze musicali e fonti d’ispirazione?
Guarda il punto di partenza che mi ha fatto venire voglia di suonare poi effettivamente la conoscenza di una serie di artisti come P.J. Harvey su tutte, soprattutto il movimento del punk femminile dei primi anni ’90 americano, il movimento riot girls. Poi ovviamente cresci e cose anche molto distanti e differenti da quelle.
In realtà attualmente la mia fonte di ispirazione forse più feconda è la poesia, quindi mi sono un po’ spostata, diciamo anche dentro al linguaggio, ma in realtà è sempre la stessa cosa, secondo me. Però direi che il punto di partenza sono state quelle artiste là, che mi hanno molto ispirata e anche molto spronata, a mettermi in discussione e a fare una cosa in prima persona.
Sin dal tuo esordio, appunto, hai mantenuto un’impronta piuttosto punk sia nelle sonorità sia ne testi e nelle tematiche trattate. Riconducendoti sempre alla volontà di rappresentare il coraggio femminile, omaggiando personaggi come Giovanna D’Arco o Sylvia Plath.
Si guarda, credo che il punk, se così vogliamo definirlo, sia più un’attitudine che una forma e credo di averla mantenuta quest’attitudine. L’attitudine di non farsi sconti e di non fare sconti a nulla insomma. Cioè di essere molto trasparente nella scrittura e anche molto spigolosi, se vuoi. Diciamo nessun tipo di edulcorazione, ecco.
Il vero grande punto di svolta è arrivato con l’incontro con Brunori Sas, che ha deciso di produrre il tuo album: “Maria Antonietta” uscito nel 2012. Che incidenza ha avuto Brunori Sas, e la fiducia che ha dimostrato di riporre in te, sul tuo percorso evolutivo?
È stato un incontro sicuramente importantissimo dal quale ho imparato moltissimo. Sarò sempre grata a Dario per aver, giustamente come dicevi tu, riposto fiducia in quella che ero io e quelli che erano i miei brani. Quello è stato appunto un altro momento di svolta, diciamo che con Dario ho cominciato da quel momento in poi ad avere sicuramente sempre di più una consapevolezza di cosa volevo fare, di chi ero ecc. Ed è passata sicuramente molto attraverso quell’incontro, per me davvero molto importante.
Il 30 marzo 2018 esce “Pesci” il primo estratto dell’ultimo album: “Deluderti”. La cui lavorazione è durata all’incirca 4 anni, durante i quali ti sei ritirata nella tua casa in campagna a Senigallia.
Si, diciamo che mi sono presa 4 anni, in realtà gliene ho dedicati un paio al disco, poi durante gli altri 2 avevo delle questioni da risolvere, delle cose da portare a termine e altre cose a cui dedicarmi. Quindi si, diciamo che sentivo il bisogno, la necessità di avere del tempo ecco. E ho cercato di sfruttarlo al meglio e anche di allentare la presa.
E da dove l’esigenza di ritirarti in campagna? Com’è stato lavorare alla produzione di questo disco?
Guarda si, mi sono trasferita qui, sono ormai 4/5 anni. In campagna è una dimensione molto contemplativa ed è una dimensione che mi stimola molto. Sento sempre molto la necessità di stare proprio a contatto fisico con la natura e qui è possibile, ovviamente. Con i suoi contro però, no? Col fatto di stare comunque lontana da tutti gli snodi più operativi. Però per me è vitale abitare qui.
Anche la produzione del disco è stata portata avanti in larga parte qui a casa con Giovanni Imparato (in arte Colombre), che è anche il mio compagno. Quindi diciamo è stato possibile lavorare sul disco in maniera davvero totale, come dire senza limiti di orari, vincoli di giorni. Però è stata un’esperienza molto bella anche a livello relazionale, perché ovviamente produrre con qualcuno un disco è qualcosa che ti lega ancora di più e che ti fa conoscere l’altro in una maniera anche diversa. Quindi è stata un’esperienza super formativa, sono molto fiera.
Da dove l’esigenza di produrre questo disco? Cosa rappresenta per te? Il tema della delusione, ovviamente, è ricorrente. Tu stessa hai dichiarato di sentire il peso delle aspettative del quale hai bisogno di liberarti.
Il disco nasce proprio tutto attorno al macro-tema, il concetto della delusione come momento in realtà positivo, di potenziale realizzazione anche di te stesso nel profondo. Perché vedi, credo che sempre di più è un meccanismo umano, però sempre di più c’è questa necessità anche un po’ morbosa di cercare per fora di cose l’approvazione dell’altro, il suo compiacimento e di intercettarlo.
Però alla fine credo anche che se tu non rendi giustizia a te stesso davvero, a cosa serve il compiacimento dell’altro? A cosa serve la sua approvazione? Cioè ti fa avanzare realmente? Ti fa comprendere qualcosa? Ti fa diventare migliore? Non lo so, credo più che altro che sia un’illusione, una paura appunto quella di deludere l’aspettativa. Però penso che dobbiamo permettercelo il lusso di deludere l’aspettativa se ci sentiamo di farlo, non è obbligatorio ovviamente, però se serve, se necessario secondo me è l’unica via possibile per avanzare.
E tu credi di esserti liberata da questo peso?
Si, guarda, onestamente mi sento molto serena. Ovviamente nessuno di noi è immune dall’aspettativa che gli altri hanno su te stesso ma neanche immune dalle aspettative che tu stesso hai sul tuo conto. Quindi non sarà certo io la prima umana immune dall’aspettativa, però cerco di gestirla in maniera, ecco, un po’ più equilibrata. E rispetto a questo sicuramente mi sento molto più in pace rispetto al passato.
Qual è il singolo estratto da questo album al quale ti senti maggiormente legata?
Ma guarda, in realtà proprio perché è un concept album, i brani sono molto legati l’uno all’altro. Quindi per me è molto difficile estrarne uno dal discorso. Che è un modo forse anche un po’ antiquato di concepire un disco, visto che si tendono a percepire sempre di più le canzoni nella loro singolarità. Però qui in realtà sono tutte molto legati in un discorso, ma se ti devo dire un brano che anche nel sound mi soddisfa molto è Vergine.