“Where have you gone Joe DiMaggio, a nation turns its lonely eyes to you”.
Questa la domanda posta da Paul Simon nella famosa canzone Mrs. Robinson. Una canzone che, insieme a questo verso, registra i cambiamenti in corso nell’America dell’epoca. Siamo nel 1967. Molte cose non sono più come “prima”. Sono passati quattro anni dall’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, e l’anno successivo sarà assassinato anche suo fratello Robert, assieme poi a Martin Luther King. Per Malcolm X, invece, la fine è giunta già nel 1965.
Sono tempi di turbolenze e di incertezze. Infuria la guerra in Vietnam, e giovani appena maggiorenni vengono spediti a morire nella giungla di un paese lontano senza neppure capire il perchè. Nel frattempo, le roboanti tendenze giovanili scuotono il paese, dividendolo ed esasperando gli animi.
Il rock and roll, le droghe e gli allucinogeni, le macchine veloci, i capelli lunghi, sono le immagini della terribile confusione in cui si trovano gli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ’60. Allora è con un misto di nostalgia e ironia che Paul Simon si rivolge a Joe DiMaggio, simbolo di quell’America unita e salda del secondo dopoguerra, un’America che ora non c’è più.
Assieme alla musica, anche il cinema registra questi cambiamenti.
Il 1967 è l’anno della grande svolta per il cinema americano: l’industria in crisi ormai da anni è costretta ad affidarsi a registi giovani e a realizzare film su soggetti audaci, per conquistare il pubblico delle nuove generazioni. Mike Nichols, già regista dell’adattamento teatrale Chi ha paura di Virginia Woolf? (Who’s Afraid of Virginia Woolf?, 1966), è uno dei protagonisti. Un altro protagonista è Dustin Hoffman, al suo primo e più celebre ruolo.
Il film è Il laureato, storia di un giovane confuso, demotivato, insicuro. Storia di un ragazzo che va alla scoperta di un mondo che è già fatto di “plastica”, come gli ricorda uno dei personaggi del film. La scoperta della sessualità, la ribellione all’ordine genitoriale, il perseguimento di un sogno d’amore non sono più momenti commoventi commentati da musiche alla Max Steiner, stile Hollywood classica. Benjamin Braddock, il protagonista, si muove a tentoni, sbaglia, riprova, è ingenuo, insicuro. Non è Kirk Douglas, non è Burt Lancaster, non è Gary Cooper.
La Hollywood classica è tramontata esattamente come l’epoca di Joe DiMaggio.
E quindi al posto di Max Steiner abbiamo un duo di musica pop: Simon & Garfunkel. Cantori folk prestati all’industria della musica, poesia rimodernata per i giovani, riferimenti a Dylan Thomas mischiati alle chitarre stile Byrds e armonizzazioni stile Beatles/Beach Boys. Paul Simon è il migliore interprete del suo tempo, quasi come il collega/rivale Bob Dylan.
Le sue canzoni, come Mrs. Robinson e Scarborough Fair/Canticle (1966), commentano il film di Nichols, sottolineando il vagare insicuro del protagonista da una situazione all’altra. Uno dei punti più alti della poetica di Paul Simon è un’altra canzone, quella famosa Sound of Silence che si ode sia all’inizio che alla fine del film. La canzone, nella sua laconica elaborazione proprio dell’assassino di JFK (e quindi di quella “vecchia” America di Joe DiMaggio), vuole commentare triste lo stato in cui si trovano i giovani della nuova America, come Benjamin.
Nella famosa scena finale, seduti sul bus dopo essere fuggiti insieme, Benjamin e la sua amata non sanno cosa dirsi, non si guardano neanche. Si sono ribellati, ma non sono pronti ad affrontare quello che hanno fatto, non lo capiscono neanche. Questa è la nuova America, di Mike Nichols, di Dustin Hoffman, e di Simon & Garfunkel.