Il 17 maggio uscirĂ nelle sale italiane Dogman di Matteo Garrone, ispirato all’efferato fatto di cronaca del “delitto del Canaro”, avvenuto a Roma nel 1988. Non è la prima volta che Garrone si occupa di un progetto del genere: il film puĂ² infatti essere identificato come il terzo capitolo di un’ideologica trilogia con al centro la cronaca nera, iniziata nel 2002 con L’imbalsamatore e proseguita nel 2004 con Primo amore. Oggi vi parleremo del primo titolo.
La storia si apre con il protagonista della vicenda, qui ribattezzato Peppino Profeta, che nello zoo in cui preleva le carcasse per i suoi lavori fa la conoscenza di quello che diventerĂ l’oggetto delle sue maniacali attenzioni: il giovane Valerio (Valerio Foglia Manzillo). Peppino è interpretato dall’attore napoletano realmente affetto da nanismo Ernesto Mathieux, che grazie alla sua interpretazione ottenne grande notorietĂ , culminata con la vittoria del David di Donatello e del Globo d’oro come miglior attore protagonista. La sua è una maschera tragicomica dotata di enorme profonditĂ psicologica, in grado di suscitare a fasi alterne sia l’empatia che l’odio dello spettatore. Peppino si dimostra subito estremamente gentile verso il giovane, che invita a casa sua per mostrargli i suoi animali imbalsamati, e poco dopo gli propone di venire a lavorare per lui. Offerta che il ragazzo accetta di buon grado, visto il cospicuo stipendio e la sua difficile situazione familiare, e da qui tra i due nasce un rapporto molto stretto, quasi paternale, anche se a tratti decisamente ambiguo.
Il film possiede delle connotazioni noir molto efficaci.
Noi sin dall’inizio veniamo catapultati nei panni di entrambi i protagonisti, non conoscendo nulla del passato e della personalitĂ di ciascuno di essi. Con l’incedere della trama entriamo progressivamente in possesso delle informazioni che ci servono per arricchire il loro profilo psicologico, e acquisire coscienza sulla natura morbosa del rapporto che si va a creare. Mathieux dĂ vita a un personaggio ricco di sfaccettature, che nonostante il suo aspetto esercita sul giovane un grande carisma, per via dei suoi modi decisi e signorili e per la sua apparente magnanimitĂ .
E’ presente qualche sbavatura nella causalitĂ del racconto, con alcune transizioni che non appaiono perfettamente chiare, e qualche passaggio forse eccessivamente lungo. Soprattutto, in alcune occasioni la recitazione naĂ¯f di Elisabetta Rocchetti sembra non seguire la giusta logica delle reazioni umane, anche nel caso di scene cruciali.
Alla costruzione delle atmosfere contribuiscono sensibilmente la semplice ma efficace fotografia, costantemente improntata su toni cupi ed orientata verso colori caldi, con una grande quantità di scene dalla luminosità fortemente rarefatta, e la colonna sonora di stampo noir malinconica e ricca di fiati curata dalla Banda Osiris, anche se a tratti risulta leggermente stancante.
Da segnalare nel film la presenza di Bernardino Terracciano, vero boss camorrista condannato all’ergastolo il 13 maggio 2016 per un duplice omicidio avvenuto nel 1992, il quale ha recitato anche in Gomorra dello stesso regista. Garrone è famoso per inserire nei suoi film figure senza trascorsi recitativi provenienti dagli ambienti malavitosi che si prefigge di descrivere. E se da un lato questa puĂ² essere vista come una scelta di dubbia moralitĂ e irrispettosa verso le vittime, dall’altro è innegabile che il valore sociologico e descrittivo di tali vette di realismo molto difficilmente puĂ² essere ottenuto tramite la recitazione classica.
Un film non perfetto e con qualche disaccortezza, ma che denota in tutto il suo splendore la perizia dietro la macchina da presa e la capacitĂ di raccontare il malsano di quello che nell’attualità è a tutti gli effetti uno dei regisi essenziali per il nostro patrimonio artistico. Assolutamente consigliata la visione.