Intervista Zen Circus – La scimmia incontra Ufo, il bassista della band.

Intervista Zen Circus
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Gli Zen Circus nascono a Pisa, nel lontano 1994. 20 anni di carriera, 10 album e tanti tanti concerti.

Eppure ancora tanta energia e voglia da vendere, di fare e suonare musica. Tra le band più interessanti ed apprezzati nel panorama musicale italiano. Hanno una folta schiera di fan, che da ormai tanti anni li seguono. In occasione dell’uscita del loro ultimo album “Il fuoco in una stanza”, la redazione della scimmia ha avuto il piacere di intervistarli. L’intervista è stata tenuta con Ufo, il bassista della banda, e in compagnia e con l’aiuto di Michele Licciardi , giovane cantautore, su “La scimmia parla” la nuova trasmissione radiofonica in collaborazione con radio1088 (www.radio1088.it) in onda ogni mercoledì alle 18. E’ possibile ascoltare la registrazione del podcast della puntata QUI. Di sotto la trascrizione.

Intervista Zen Circus

Ufo tu sei con gli Zen Circus dal 2000, la band nasce a Pisa nel 1994. Oltre vent’anni di onorata carriera, con 10 album pubblicati e oltre 1000 concerti alle spalle. Potremmo definirvi un po’ i progenitori della musica indie in Italia.

Beh, più che progenitori siamo persone che l’abbiamo vissuta questa scena evolversi in molti anni e molti modi, e con molte modalità. Un certo modo di fare musica in Italia c’è sempre stato e noi ci siamo dentro da molti anni. Progenitori è troppo lusinghiero. Rientriamo in un certo movimento e modo di fare musica e continuiamo a proporre quello che abbiamo sempre proposto, fondamentalmente quello che vogliamo noi come lo vogliamo noi. Per me poi il senso fondamentale della musica indipendente è quello, fare la musica che volevamo, come volevamo, quando volevamo. Più che progenitori noi siamo persone che hanno camminato dentro questa scena negli anni e tutto qua. Fondamentalmente non siamo i progenitori di nessuno. 

Come abbiamo detto, vent’anni di carriera, 10 album e oltre 1000 concerti. E’ proprio questa una della caratteristiche che vi contraddistingue come band, il grande lavoro che c’è alle spalle, un lavoro incessante. Tanta passione e tanto sudore.

Si perché noi nasciamo come gruppo di buskers, nasciamo come artisti di strada quindi il pubblico ce l’andavamo sempre a cercare, e questo ci ha marchiato indelebilmente, questo tipo di approccio. Per noi il live è l’aspetto più importante di tutto. Che poi per carità il disco è importante, il disco fotografa un momento della band. Però per noi è fondamentale l’esibizione live, che per noi è l’elemento su cui si fonda il nostro credo. Quindi chiaramente ci ha forgiato, ci ha dato una formazione estremamente pragmatica. Anche perché sapersi gestire, sapersi accontentare quando è il momento è un modo di crescere molto salubre e molto bello secondo me. 

Intervista Zen Circus

Continuando questo viaggio alla scoperta degli Zen Circus, la consacrazione arriva con l’album “Andate tutti affanculo” del 2008, che premia il duro lavoro e poi il grande successo con “La terza guerra mondiale” pubblicato nel 2016. L’album viene accolto enormemente in maniera positiva sia dal pubblico che dalla critica. Successivamente parte il tour più lungo, 66 date e oltre 98000 presenze.

Si, è stata una cosa progressiva nel tempo infatti. A dire la verità il tour in cui abbiamo fatto più concerto è stato quello dell’album “Andate tutti affanculo”, ne collezionammo ben 120, abbastanza intensivo. Devo dire che oggettivamente fummo molto contenti, perché il processo è stato sempre estremamente graduale.  

Poi di nuovo, subito, in studio per portare a termine un altro album, l’ultimo, “Il fuoco in una stanza” uscito il 2 marzo 2018. Un’instancabile amore per la musica. Come nasce quest’ultimo album?

L’album praticamente è nato sulla coda de “La terza guerra mondiale”, perché noi stavamo finendo la registrazione e già stavamo uscendo canzoni nuove, Stavamo finendo il disco e già c’erano pezzi in più, che uscivano fuori ma che ovviamente come tematiche non erano idonee a essere inserito in quel disco. Da lì la necessità, praticamente, di far uscire direttamente il disco a seguire. Perché nelle pause del tour preparavamo l’album subito dopo. E’ stata proprio una cosa attaccata all’altra.  

Michele Licciardi: Ufo cosa è cambiato da “Vita e opinioni di Nello Scarpellini, gentiluomo” fino a “Il fuoco in una stanza”?

E’ cambiato che siamo più vecchi. Ma alcune cose non sono cambiate. Difficile dare una risposta, perché alcune cose sono esattamente quelle, la voglia di confrontarsi live, di andare a vedere posti, di suonare è quella. E’ cambiata la percezione. Magari, certe persone ci hanno visto una o due volte in televisione e si son fatte una certa idea. Col cantautorato italiano sperimentavamo già in quel tempo là, così lontano. 

Michele Licciardi: Il fuoco in una stanza l’ho trovato molto più intimo è testuale

Si diciamo che hai indovinato, è un disco più intimo ma non intimista. Ha una ricerca sulla persona, soprattutto come si definisce in base agli altri, c’è tutto un lavoro di investigazione su chi siamo in base anche al riflesso che diamo alle altre persone. Questo è un disco sicuramente intimo, che dopo il climax de “La terza guerra mondiale” si ritorna di nuovo in casa, in questo “fuoco in una stanza”. Quindi si ritorna ad una dimensione intima ma non intimista, perché poi riesce anche a parlare agli altri. Quindi non parliamo solo di noi stessi, ma cerchiamo di oggettivare la cosa. 

Quest’album è decisamente più malinconico, più maturo. Non un album di ribellione come quelli precedenti, ma raggiungete una consapevolezza appunto più intima. Più tesa anche al racconto di legame e relazione sia sentimentali che familiari.

Volendo si, rimane sempre un po’ ambivalente. Perché il fuoco potrebbe anche essere un fuoco distruttore, rimaniamo sempre un po’ lì lì noi, sui temi. E’ vero che non è tanto pieno di rivolta, come gli altri dischi, però è comunque sempre tutto visto in una maniera anche un po’ problematica, non così scontata. E c’è sempre una certa vena un po’ anarchica anche in questa maniera di raccontare l’intimità. Sicchè alla fine ci siamo domandati se questo fuoco poteva essere come un fuoco confortante, che da tepore o anche un incendio, una cosa che distrugge tutto. Quindi è un disco più consapevole, magari più introspettivo. Però rimane con degli interrogativi aperti a possibilità di rivolta o non si sa. Noi continuiamo a interrogarci su tanti aspetti.  

Intervista Zen Circus

Parlando di un brano in particolare, “Catene” uscito il 25 gennaio, il primo estratto dall’album. La canzone parla della morte di un parente, in questo caso la nonna. E rappresenta dei legami affettivi considerati come delle catene, appunto, che ci uniscono, che ci vincolano.

Si, esatto. Il tema è proprio quello, ambivalente. Le catene possono essere anche qualcosa da spezzare. Per alcune è giusto che si spezzano, devono, alcune no. Poi le catene sono un simbolo molto ambivalente, la catena si mette anche al cane per impedire che morda o che scappi, ma le catene si mettono anche alle navi per impedire che vengano travolte dalle tempeste. La canzone si interroga proprio su questo, infatti parte da questo presupposto. Questa persona che in seguito al lutto sembra che la sua vita vada addirittura a migliorare. Ci sono tanti paradossi nelle catene che abbiamo tra di noi. Ad esempio una catena grossa è quella che mi lega agli altri Zen, non riusciamo in nessun modo a rompere, interrompere.  

Diverso è invece il legame che viene rappresentato in “Il fuoco in una stanza”, la canzone omonima dell’album. Sembra voler tornare alla manifestazione di un amore più adolescenziale, se vuoi.

Si, in un certo senso ci sono tutti gli aspetti della vita umana. Esatto “Il fuoco in una stanza” fa da contraltare. Anche come brano, a livello musicale è più simile ai dischi precedenti, più tipo ballata, un po’ il filo di quello che voleva essere “L’anima non conta”. E’ una riflessione proprio più diretta alla coppia. Anche se noi prediligiamo pensare alla coppia sempre in un contesto sociale, mai avulsa a sé. Molte canzoni in Italia parlano soltanto di “io e te” o al limite “io, te e il telefonino”, “io, te e whatsapp”. Diciamo che anche giusto che ci sia questo tipo di narrazione, che comprenda anche un po’ il mondo. Si può parlare della coppia, ma anche un po’ di tutto.   

Michele Licciardi: Dal penultimo album “La terza guerra mondiale” a questo, intraprendete due corsie. Una più intimista, che va da “L’anima non conta”, “Non voglio ballare”   e arriva fino a “Catene” e “Il fuoco in una stanza”. E una corsia più sociale, politica ne “Zingara (Il cattivista)”, “Panico”. Ci sono sempre queste due corsie, che forse sono le cose più forte che avete.

Si, esatto perché cerchiamo sempre di far completare queste due cose. Crediamo ancora nel vecchio adagio che il personale è polico e il politico è personale. Ci abbiamo sempre tenuto ad avvicinarci ad una dimensione sociale della musica. E poi spesso noi anche fotografiamo le cose come sono. Mi parlavi de “Il cattivista”, noi abbiamo espresso quel momento in Italia che purtroppo ancora è. E’ una cosa che ci ha sempre interessato, parlare di soggettivo e collettivo, perché penso che son due temi che vanno insieme, si compenetrano. A volte abbiamo fatto anche delle assemblee con i fan, improvvisate. Vengono fuori anche degli spunti per le nostre canzoni. Ci teniamo molto alla dimensione sociale, non so quanto quella politica, ma sicuramente sociale.  

Dopo venti anni di carriera, di concerti, siete stanchi? O avete ancora l’energia di fare musica, di suonare? Quali sono i progetti futuri per The Zen Circus?

Siamo indomabili, finchè ci tiene la salute vogliamo continuare. Ora ci sono queste macro date, il tour de “Il fuoco in una stanza” e poi continuiamo. Perché poi chiaramente ci sono già numerose richieste per l’estate, da fare in avanti. A questo disco ci abbiamo lavorato tanto, ci abbiamo messo tanto, e chiaramente non vogliamo concluderlo ora. 

dedicato a Michele Licciardi

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