Lucio Fulci (1927-1996), come molti sanno, è stato un autore le cui opere hanno subito nel corso degli anni un ampio processo di rivalutazione rispetto l’iniziale accoglienza, venendo oggi annoverate tra i migliori prodotti relativi all’epoca del giallo argentiano e punti cardine dell’horror italico. Quentin Tarantino si è spesso dichiarato un grande estimatore del regista, citandolo svariate volte nei suoi film.
Ma mentre ormai titoli come Non si sevizia un paperino, Una lucertola con la pelle di donna, Sette note in nero, …E tu vivrai nel terrore! L’aldilà e Zombi 2 sono alla portata di tutti, ce n’è un altro che tende troppo spesso a passare inosservato, probabilmente a causa della sua reperibilità odierna non proprio eccelsa: si tratta di Una sull’altra, conosciuto anche con il titolo internazionale di Perversion Story. Rilasciato nel 1969 (anticipando così di un anno il primo capitolo della Trilogia degli animali di Dario Argento, L’uccello dalle piume di cristallo) e girato quasi interamente a San Francisco, questo titolo segna la prima incursione di Fulci nel genere giallo, dopo aver girato per anni solo musicarelli e commedie, molte delle quali con protagonisti Franco e Ciccio.
Si tratta, sotto molti aspetti, di un film assolutamente avanguardistico, che a fronte dell’esame del tempo può essere facilmente collocato tra le opere più esteticamente riuscite del regista. Andiamo a esaminarne i motivi.
Il tema basilare del film è quello della doppia identità, e in ciò l’ispirazione alla pietra miliare di Alfred Hitchcock La donna che visse due volte è palese. Ma in questo caso, diversi passaggi del film necessiteranno di una sospensione dell’incredulità decisamente maggiore rispetto al film di Hitchcock, dato il diverso tipo di rapporto del protagonista con la/le femme/s fatale/s, che a livello prettamente logico fatica a reggersi in piedi. Questo, molto probabilmente, costituisce l’aspetto più datato del film. Superato lo scoglio dell’inverosimiglianza della vicenda su cui poggia l’intero film, i pregi da ammirare si sprecano. Perché non è tanto rilevante l’intreccio in sé nella singolarità che il film esercita nel suo periodo di appartenenza, quanto la vasta gamma di sfumature che a un primo sguardo potrebbero passare in secondo piano.
La maggior parte dei gialli italici degli anni ’70 spesso tendevano a delineare la caratterizzazione dei personaggi con ingenuità e superficialità. Ciò su cui si concentravano principalmente era l’intreccio: un protagonista, una serie di delitti che avvenivano attorno a lui (o lei), e una risoluzione finale con scoperta dell’identità dell’assassino, che veniva tenuta celata per tutto il film. Oltre questo, i personaggi sia principali che di contorno venivano spesso tratteggiati come semplici pedine al servizio della trama, con poco da offrire a livello psicologico. Solo in seguito si comincerà a dare maggior importanza ai personaggi in questo genere, sancendo così la sua evoluzione da giallo a thriller e noir.
Fulci, con Una sull’altra, spende molto più tempo nel donare maggiore tridimensionalità ai suoi personaggi, anticipando quelle che sono caratteristiche tipiche del noir, ancora non in voga all’epoca nel cinema.
Il protagonista (il francese Jean Sorel, autore di una dignitosa prova e che in seguito lavorerà con Fulci anche in Una lucertola con la pelle di donna) viene da subito tratteggiato come un uomo dalla dubbia moralità, un bastardo infedele che non prova il minimo rimorso nel trattare la trasandata moglie come un oggetto. Un personaggio quindi lontano dall’archetipo del bel faccino da fotoromanzo con la principale utilità di apparire bene sullo schermo. La sua espressività viene spesso valorizzata da quello che in seguito diverrà un tratto inconfondibile della regia di Fulci: i primissimi piani sugli occhi in momenti cardine della scena.
Ed è anche vero che se nei gialli tipici di quegli anni (non ultimi quelli di Argento) gli spiegoni venivano inseriti con una certa elementarità, volta perlopiù alla mera comprensione da parte dello spettatore (es. “Ma allora sei stato tu!” “Sì , sono stato io, l’ho ucciso perché lo odiavo e non meritava di vivere, e adesso ucciderò anche te!”), qui Fulci riesce in un’impresa assolutamente degna di nota: inserire uno spiegone al completo servizio del movente dell’antagonista, esulando da semplice ingranaggio della storia. I minuti relativi al suo smascheramento costituiscono infatti uno dei momenti più alti del film, restando impressi per la qualità dei dialoghi e per la verosimiglianza del movente. Di magistrale fattura la costruzione dell’atto finale in cui Fulci mette in atto i meccanismi del thrilling con la massima efficienza, con il risultato di tenere lo spettatore col cuore in gola fino all’ultimo minuto.
Ma veniamo ora all’aspetto più importante. Con Una sull’altra, Fulci fu uno dei primi in Italia ad inserire in un suo film una componente erotica talmente preponderante.
Di lì a pochi anni saranno in molti ad aderire ai filoni nascenti del thriller erotico e della commedia sexy, ma ancora nel 1969 girare un film di questo tipo in Italia era difficile anche solo da pensare, con le restrizioni morali dell’epoca.
Ma Fulci non si accontenta solo di anticipare i tempi: gli va infattiattribuito il merito di aver inserito le scene di sesso come parte integrante della trama, con disinvoltura, naturalezza e una grande attenzione alla componente estetica, non come mera scusa per compiacere i lombi degli spettatori maschili.
Come protagonista di queste scene, accanto a Sorel troviamo una Marisa Mell (famosa per aver donato le sue fattezze ad Eva Kant nella trasposizione cinematografica di Diabolik del 1968, diretta da Mario Bava) semplicemente da sturbo, che si cimenta nella loro esecuzione senza neanche l’ombra di un’esitazione. Anche in dettagli sorprendentemente spinti in grado di turbare persino rispetto gli standard di oggi, come quello in cui in una lunga sequenza ella apre lentamente la zip di Sorel con la testa ad altezza bacino, mantenendo per tutto il tempo un magistrale eye contact. Memorabile anche la sua scena lesbo con un’altrettanto splendida Elsa Martinelli (da cui deriva probalilmente il titolo del film).
E’ da ricordare anche la presenza nel film di Riccardo Cucciolla, apprezzato attore italiano maggiormente ricordato per aver interpretato Nicola Sacco in Sacco e Vanzetti di Giuliano Montaldo, attivo inoltre anche nel doppiaggio (sua la voce di John Cazale nei primi due film de Il padrino nei panni di Fredo Corleone e di Bruno Ganz ne Il cielo sopra Berlino), che con il suo breve ma incisivo ruolo dona al comparto recitativo del film un prezioso contributo.
Le musiche sono composte dal Maestro Riz Ortolani in vena di jazz.
Il quale svolge un lavoro egregio in grado di spaziare dallo scanzonato nelle scene di transizione, al malizioso nelle scene di sesso, al macabro nelle scene ambientate nella camera a gas, fino a richiamare in alcuni momenti delle musicalità tipicamente morriconiane.
Un film dalla fattura visibilmente grezza, a causa delle ristrettezze economiche che funestarono le produzioni di Fulci attraverso tutta la sua carriera, ma che non gli impedirono mai di girare con caparbietà film il cui valore artistico negli anni a seguire sarebbe stato riconosciuto in tutta la sua grandezza. Il suo giallo d’esordio non fa eccezione: trattasi di un’opera rivoluzionaria sotto molteplici aspetti, invecchiata benissimo e in grado di offrire una massiccia dose di suspense anche allo spettatore odierno. Come già accennato, non è disponibile in tutte le videoteche ed entrarne in possesso richiede uno sforzo leggermente maggiore, ma se siete fan di Fulci questo è un titolo che non può assolutamente mancare alla vostra collezione.