Il Porto delle Nebbie – Il realismo poetico francese

Il Porto delle Nebbie - Il realismo poetico francese - Gli anni trenta segnano la fine delle avanguardie cinematografiche. In Francia, favorito dall'ambiente politico del fronte popolare, si sviluppa un tipo di cinema del tutto unico, chiamato realismo poetico.

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Il Porto delle Nebbie – Il realismo poetico francese – Dopo la stagione delle sperimentazioni delle avanguardie nel corso del decennio precedente, gli anni ’30 sono un vero e proprio punto di svolta. In anni molto caldi al di fuori del cinema, con l’insorgere delle condizioni per il secondo conflitto mondiale, la produzione cinematografica subisce cambiamenti radicali. Comincia la transizione dal cinema muto a quello parlato, portando un vento di novità sul grande schermo. Si può finalmente far parlare i personaggi. Nell’ambiente culturale francese, impregnato di grande letteratura, non si tarda certo a ricorrere alla nuova tecnologia.

Una nuova generazione di registi si affaccia al cinema con uno guardo totalmente nuovo.

Si creano così le basi per un cinema molto più basato sulla parola. Questo, insieme ad una serie di elementi ben precisi, vanno a costituire una nuova corrente cinematografica in Francia, chiamata “realismo poetico“. Una stagione, quella del realismo poetico, particolarmente vivace dal punto di vista artistico, merito soprattutto dei grandi interpreti che ne hanno segnato la storia. I nomi più caldi sono senza dubbio quelli dei registi Marcel Carné e Jean Renoir (figlio del pittore Auguste), insieme allo sfortunato Jean Vigo, René Clair e Jean Grémillon, dello sceneggiatore Jacques Prévert e degli attori Jean Gabin, Michèle Morgan e Michel Simon.

Fondamentale è stata anche al nascita del “Fronte popolare“, una coalizione di governo dei partiti di sinistra, che governò la Francia dal ’36 al ’38. Il realismo poetico ne è in qualche modo la voce artistica, raccogliendo molte delle istanze delle sinistre e portandole sul grande schermo.

Il nuovo cinema è imperniato sulle classi sociali inferiori, su personaggi al bordo della società, spesso maledetti e su cui grava un destino impossibile da cambiare. C’è un grande senso di coesione di classe. Dal surrealismo e le sperimentazioni del passato si passa ad un forte realismo: le storie sono ambientate spesso nelle città e si gira anche in esterni. I personaggi sono veri, sul modello dei veri uomini e donne del tempo, che possono facilmente riconoscersi negli attori. Non si rinuncia però ai sentimenti e alla poesia. I finali sono spesso melanconici, frutto del destino obbligato dei personaggi.

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Come anticipato, Marcel Carné fu uno dei registi chiave della corrente. A differenza, ad esempio, di Renoir, Carné non usa quasi mai gli esterni, preferendo ricostruire tutto in studio. Le città che ricostruisce abilmente assumono un vero e proprio valore narrativo, diventando delle entità importanti all’interno dei film.

Il Porto delle Nebbie è uno dei punti più alti raggiunti dal regista e che insieme alla produzione di Renoir costituiscono una perfetta dichiarazione di intenti della corrente.

Carné collabora per la terza volta con Prévert e si affida alle tre icone attoriali citate precedentemente. Jean (Jean Gabin) è un disertore che intende lasciare il paese dal porto di Le Havre. Mentre si sta procurando dei documenti falsi per lasciare il paese, conosce la bella Nelly (Michèle Morgan). Jean se ne innamora e cercherà di salvarla dalle grinfie del tutore Zabel (Michel Simon), da lei sospettato di aver ucciso il suo fidanzato.

Il personaggio di Jean crea qualche malcontento nella censura (e spesso anche nella critica). È un personaggio atipico, portatore di valori mal considerati dai benpensanti. Un disertore è, del resto, visto come un codardo che scappa dal suo dovere. Il suo destino è segnato, come quello degli altri personaggi. Eppure il personaggio di Gabin riesce a ritrarre una grande fetta di popolazione, in un periodo politico particolare per la Francia. Le persone si risconoscono in Gabin, che si costruisce un’immagine di “uomo del popolo“, differentemente dalle irraggiungibili star hollywoodiane.

Carné è abilissimo nel creare una cifra stilistica tutta sua, a metà tra realtà e sogno.

Guardando la pellicola si ha una sensazione di leggerezza segnata dal forte lirismo delle immagini. Ma il destino grava come un macigno, la leggerezza è effimera. Le fumose inquadrature della città portuale, con la sua immancabile nebbia e un forte contrasto tra bianco e nero danno un tocco poetico ed unico ad una storia che, di poetico, non avrebbe proprio nulla.

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Al contempo, il regista francese rimane saldamente ancorato alla realtà, raccontando una storia perfettamente inquadrabile nel contesto storico e geografico in cui avviene. Il tema del sociale pervade la pellicola, a partire proprio dai personaggi, molto lontani dagli ideali al tempo dominanti ad Hollywood. Proprio questo impegno è il motivo del grande successo tra il pubblico ed una minore risposta da parte dei critici.

Il film, uscito nel 1938, verrà completamente ritirato nel periodo dell’occupazione nazista. Vinse il premio speciale per la regia a Venezia, ma venne distribuito in Italia soltanto dopo il 1943. Carné, soprattutto insieme a Renoir e a Vigo, verrà poi guardato come fonte di ispirazione per la generazione successivi di registi. I neorealisti in Italia ne trassero soprattutto il lato più ancorato al realismo; in America, Orson Welles rielaborerà la profondità di campo sperimentata da Renoir a partire da Quarto Potere e la Nouvelle Vague si legherà più alle atmosfere ed ai personaggi. Una corrente, quella del realismo poetico, di cui si parla molto meno di quanto non abbia effettivamente influenzato, direttamente o indirettamente, molto del cinema degli anni successivi.