Prima e ultima fatica registica del grande attore premio oscar Charles Laughton, La morte corre sul fiume rappresenta, senza dubbio, uno degli apici della storia del cinema.
Un’opera di grande fascino, dai toni fiabeschi e le atmosfere noir, e visivamente memorabile. La morte corre sul fiume fu, all’epoca, un insuccesso al botteghino, motivo per cui Laughton non potè mai girare un secondo film.
La storia, tratta dal romanzo The Night of the Hunter di Davis Grubb, narra le vicende di due bambini, John e Pearl Harper, perseguitati da un assassino, finto predicatore cristiano, Harry Powell, il cui obiettivo è appropriarsi del denaro che il padre dei due, morto in galera, aveva nascosto prima di essere catturato. Particolarità di questo villain di grande spessore, interpretato da Robert Mitchum, sono i due tatuaggi sulle dita delle mani, che riportano le parole “Love” e “Hate”.
Ed è proprio sulla coesistenza di questi due concetti opposti, ma paradossalmente sovrapponibili, che si basa l’intera opera.
Difatti i gesti del predicatore sono piuttosto esplicativi: le mani si aggrovigliano, intersecano, simbolo dell’intersecarsi dell’odio e dell’amore, del bene e del male. Concetto metaforicamente espresso anche nella scena durante la quale il canto dell’anziana signora Cooper (simbolo del bene) e dell’assassino (simbolo del male) si sovrappongono creando un unisono piuttosto inquietante. Vi è quindi un maniacale e geniale lavoro di sceneggiatura che conferisce grande fascino alla pellicola, quel fascino che le ha permesso di passare alla storia.
La morte corre sul fiume è, inoltre, una critica feroce alla cecità della fede religiosa, che permette ad un uomo ignobile quale è il nostro protagonista, di commettere, indisturbato, qualsiasi crimine. Difatti, le vicende si svolgono nella Virginia Occidentale degli anni ’30, e i personaggi che incontriamo sono tutti accecati dalla fede, che non permette loro di esaminare razionalmente la realtà dei fatti. Questo dà vita ad un altro concetto che il film si propone di affrontare: quello del culto della personalità. Gli abitanti del paesino nel quale il finto predicatore giunge, appaiono quasi storditi dal grande carisma di quell’uomo, dal suo fascino profondo e dalle sue grandi capacità oratorie. Aiutato dalla propria falsa identità di uomo di Chiesa, il personaggio di Powell riuscirà non solo ad agire incontrastato, ma anche a trarre aiuto dai cittadini ignari della sua vera identità.
L’unico personaggio capace di guardare oltre le belle parole e l’indiscusso fascino di Powell, è quello della signora Cooper, uno dei personaggi meglio riusciti dell’intero film.
Come detto in precedenza, essa rappresenta il bene, che accudisce i due poveri fuggiaschi, dà loro cibo e un letto in cui dormire. Tuttavia il suo atteggiamento risulta piuttosto severo, seppur di benevole intenzioni. Ciò raggiungerà il culmine nel momento in cui essa impugnerà il fucile (oggetto di violenza) per proteggere John e Pearl (fine benevolo).
La morte corre sul fiume gode, senza dubbio, di una delle migliori fotografie in bianco e nero. I critici concordano sul fatto che si tratti di un film espressionista, in particolare a giudicare dalle trovate illuminotecniche che, però, permettono di ricondurlo anche allo stile gotico. Dietro indicazione di Laughton, il direttore della fotografia Stanley Cortez, si ispirò apertamente ai modelli del cinema muto, in particolare quello di Griffith. Ogni inquadratura presenta uno studio maniacale degli elementi, risultando esteticamente perfetta.
Immensa prova attoriale per Robert Mitchum, in uno dei suoi ruoli più riusciti.
Attraverso uno stile di recitazione anch’essa tipica del cinema espressionista, Mitchum riesce a dar vita ad un personaggio memorabile, odioso e affascinante, misterioso e tenebroso, imponente ma fragile allo stesso tempo. Altrettanto riuscito il lavoro di Lillian Gish, attrice che aveva lavorato con Griffith, che riesce a conferire al proprio personaggio uno spessore unico, capace di tener testa all’imponenza di Powell.
Ottima anche la sceneggiatura non originale di James Agee, basata sul racconto nel racconto, che crea mondi diegetici all’interno della diegesi stessa, e permette a questi mondi di comunicare ed entrare in reciproco contatto. D’altronde, è interessante l’idea di utilizzare un tono fiabesco per raccontare una storia tragica come quella dei piccoli John e Pearl. Geniale, inoltre, l’utilizzo della canzone canticchiata dal finto predicatore, che assume un tono minaccioso inserita in quel contesto.
Le musiche, composte dallo statunitense Walter Schumann, risultano perfette per le scene che accompagnano. Sempre equilibrate e mai ingombranti, risultano essere un altro elemento di grande valore del film.
La morte corre sul fiume è, senza dubbio, un’opera di maniacale grandezza. Una storia drammatica narrata con una leggerezza non indifferente. Un film di grande impatto visivo ed emotivo, tra i titoli più importanti e incisivi della storia della settima arte.