Independence Day: Rigenerazione, terza tappa del nostro tour degli orrori in celluloide, sembra esser nato con l’unico scopo di rispondere a questo annoso quesito.
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Non sappiamo cosa abbia spinto Ronald Emmerich ad imbarcarsi in quest’audace ostentazione di necrofilia in CG. Sospeso fra disastro e parodia, Independence Day: Rigenerazione dà l’impressione di essere la risposta del regista teutonico ai lettori di Cioè.
Fra improbabili tele-gravidanze e insondabili dilemmi relazionali, Emmerich sembra aver identificato il quesito che maggiormente ha tormentato l’umanità sin dai suoi albori:
le dimensioni contano?
Con questo ancestrale dubbio nel cuore, Emmerich edifica un’opera (?) che affonda le proprie radici nel superlativo relativo. Rispetto al primo film, la nave madre è più grande, l’alieno è più grande, le armi sono più grandi, il cast è più grande, il ventaglio delle inutili storylines secondarie è più grande.
Questa costosissima e sgangherata rincorsa al gigantismo sarà stata sufficiente a salvare uno dei sequel meno attesi dell’ultima decade?
Ve lo diciamo subito: ASSOLUTAMENTE NO!
Ma andiamo con ordine, analizzando (?) punto per punto alcuni degli (ovviamente) enormi problemi di Independence Day: Rigenerazione.
La sceneggiatura: andare da A a B passando da π.
Le dinamiche di base del film sono chiarissime fin dalle prime battute. Sono passati vent’anni dal 4 luglio più inflazionato della storia.
L’umanità ha imparato la lezione: gli Americani sono più forti, più belli e più fighi, inutile fargli la guerra. In questa timeline alternativa, tutti i popoli della terra vivono serenamente insieme, come un unico popolo a stelle e strisce.
I rottami abbandonati dalla marmaglia aliena hanno fornito agli scienziati utili spunti per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie: armi laser, treni volanti, città futuristiche, il tutto mostrato in una pacchianissima CG.
In questo scenario idilliaco, in cui persino gli Americani si azzardano a parlare di pace, accade l’irreparabile. Una nuova nave madre aliena, evocata dai vecchi invasori prima della loro debacle, irrompe sulla scena minacciando la nostra sopravvivenza.
Tramite uno scanner termico della mastodontica struttura, gli Americani scoprono il sordido piano di Emmerich: al centro dell’astronave, stavolta popolata da un’orda (ovviamente) infinitamente più grande, si trova l’alieno più ciccione mai visto.
Avrà le ossa grosse?
Dato che la consulenza di Top Girl avrebbe richiesto tempi eccessivamente dilatati, l’onere dell’analisi spetta all’ex non-fumatore David Levinson (Jeff Goldblum), oggi alle dipendenze della Casa Bianca.
David centra subito il punto: la colossale creatura altro non è che la regina dello sciame alieno. Il nemico è dunque un alveare di individui tutti uguali, connessi in un’unica rete mentale collettiva. Hanno armi laser, scudi di energia e tute high tech: quello che non hanno è la gloriosa libertà americana.
Se il primo film era una stucchevole celebrazione del nazionalismo americano, Independence Day: Rigenerazione, compie un ulteriore passo avanti, sfociando in un improbabile maccartismo intergalattico.
Considerando tali premesse, la piega presa dalla storia pare piuttosto scontata:
Mondo in pace -> Arrivano tizi cattivi -> Varie peripezie super-eroiche -> Vittoria americana
Tale schema sarà, probabilmente, parso troppo lineare, semplice ed indolore ai sadici occhi degli sceneggiatori. Si è così deciso di condire la vicenda principale con una miriade di storyline secondarie assolutamente non necessarie, fra cui:
On the jewish road; l’incredibile viaggio dello stereotipatissimo padre di David che, dopo aver cavalcato uno tsunami con una barchetta modello SV, ruba uno scuolabus gremito di piattissimi bambini sperduti, per condurli in salvo verso l’Area 51. Un inserto family-beat in 2D, sospeso fra Jack Kerouac, Woody Allen, Peter Pan, Giovanni Storti e Otto Disc;
Flashmed; l’ex spogliarellista Jasmine (Vivica A. Fox) fa sfoggio del suo nuovo status di primario di chirurgia, per poi morire eroicamente dopo tre minuti nel tentativo di salvare un generico infante e la sua generica madre;
Crazy, Stupid, French; una combriccola di cacciatori di tesori francesi (quindi, ovviamente, vigliacchi ed ubriaconi), vede interrotta la propria ricerca a largo delle coste americane a causa dell’avvenuta invasione. Fra un bicchierotto e l’altro, verranno ingaggiati dal governo per monitorare l’attività della nave madre nell’Oceano Atlantico. Accetteranno la missione solo in cambio di una lauta ricompensa; dopotutto sono francesi, mica eroici americani;
Lethal paperworks; un odioso burocrate e un signore della guerra africano, si trovano costretti collaborare, superando la reciproca diffidenza. Un buddy movie senza tempo e senza senso;
Thor: The Twilight Saga; il fratello minore del più noto Chris Hemsworth, interpreta un giovane aviatore militare finto-ribelle che se la fa con la figlia dell’ex presidente. Si dichiarano amore tramite Skype, si baciano in un drammatico abbraccio pre-battaglia, si ricongiugono a bocce ferme. The End.
Aumentando a dismisura la quantità di personaggi, Emmerich si perde in una convulsa miriade di inserti abbozzati e mal sviluppati che rompono la tensione, intervallandola a registri che non riescono mai ad amalgamarsi. Il risultato è un confuso spezzatino in crisi d’identità.
A risentirne, ovviamente, è anche la qualità dei personaggi. Mentre i nuovi restano intrappolati nella più totale bidimensionalità, i vecchi si scavano faticosamente una nicchia, apparendo come una sbiadita parodia di ciò che erano.
E qui arriviamo al secondo problema.
Cast e personaggi: Flatlandia.
Come nel romanzo di Abbott, i personaggi di Independence Day: Rigenerazione sembrano semplici figure in 2D. Nella sua sete di grandezza, Emmerich mette in scena un’affollatissima baracconata in cui, alle vecchie glorie del ’96, si aggiunge uno stormo di giovincelli privi di personalità.
L’esempio più lampante di questo inno al p(i)attume è il malcapitato Jessie Usher. Chiamato ad interpretare il figlio del defunto capitano Hiller, il giovane attore si è ritrovato a gestire l’ingombrante eredità lasciata dal personaggio che fu di Will Smith.
Nonostante i suoi evidenti limiti, il film del ’96 si reggeva (malamente) in piedi anche (e soprattutto, forse) grazie alla personalità di Smith, mattatore e fulcro mattacchione della pellicola. Purtroppo per Independence Day: Rigenerazione, il giovane Usher sembra soffrire di una severa forma di carismo-penia.
Il risultato è una transizione discendente più drammatica di quella che portò Chavo Guerrero a prendere il posto del compianto Eddie.
In questo coacervo di faccini puliti, anche giganti come Jeff Goldblum faticano a staccarsi dal piano e ad acquisire la tanto agognata terza dimensione. Gli unici che sembrano effettivamente spassarsela sono Bill Pulman (nei panni di un ex-presidente confuso e lacerato dagli eventi passati) e Brent Spiner (un redivivo dottor Okun).
La summa di questa fenomenale opera di miscasting è l’inspiegabile inserimento di Charlotte Gainsbourg nei panni di una fastidiosissima (e marginalissima) ricercatrice. Cos’avrà spinto l’attrice francese a passare da Trier ad Emmerich?
La risposta, forse, si cela nel seguente dialogo, simbolo e manifesto ideologico di Independence Day: Rigenerazione:
Fastidioso burocrate: “Come si uccidono gli alieni?”
Signore della guerra: “Bisogna prenderli da dietro!”
Independence Day: Rigenerazione e l’eroismo – This is the end mode: ON!
A questo punto, molti di voi esclameranno:
“Sì, ma che palle! Come siete puntigliosi! E’ una scematella, non va presa seriamente, dai!”
Il grande problema di Independence Day: Rigenerazione è proprio questo: per essere una truzzata, si prende fin troppo sul serio.
Ogni personaggio, anche il più insulso (a meno che non sia francese) marcia avvolto da un fitto alone di eroismo. Tutti sono pronti a mettere in gioco la propria vita, in qualsiasi momento e per qualsiasi motivazione, alimentati dallo stesso senso si sacrificio che James Franco prova nei confronti di Seth Rogen.
Di martirio in martirio, il film procede accopagnato da una colonna sonora talmente rigonfia da aver destato più di un sospetto fra i membri della commissione antidoping.
Simbolo di questa ardimentosa catastrofe è l’incipit del film: in un vorticare di effetti digitali, vediamo un alieno godersi lo storico discorso del presidente Whitmore, qui remixato da Gabry Ponte.
Da questo momento in poi, la pellicola è un susseguirsi di pietosi deragliamenti verbali, tutti pallidi tentativi di replicare la carica nazional-testosteronica generata da Bill Pullman nel ’96.
Considerando lo spettacolare flop registrato al botteghino, potremmo dire che:
“Questo non è il film di cui abbiamo bisogno, ma neanche quello che ci meritiamo!”
Independence Day: Rigenerazione e la logica: I’m a Banana.
Se è vero che il rapporto con gli spettatori si basa sulla sospensione dell’incredulità, possiamo tranquillamente ammettere la seguente proporzione:
Independence Day: Rigenerazione : Pubblico = Beep Beep : Willy il Coyote
Per quanto tu possa provare ad afferrarlo, il film di Emmerich continuerà a farti male in un turbinio di escamotage privi di qualsiasi fondamento logico. Onde evitare di ammorbarvi con inutili analisi, riassumeremo il tutto sottoforma di questionario. Magari, un giorno, il regista teutonico risponderà ai nostri quesiti:
Perchè il dottor Okun è ancora vivo?
Come fa un tizio che è stato in coma vent’anni ad alzarsi e saltellare in giro come un’Heidi qualsiasi?
Come si può cavalcare uno tsunami con una barchetta da pesca?
Come si può sfuggire ad un gigantesco alieno sputa-laser e abbatti-aerei guidando uno scuolabus? Che sia il giallo la nostra miglior arma?
Perchè uno stormo di navette che si muove circolarmente, guidato telepaticamente dalla volontà di un alieno gigante, dovrebbe seguire le stessi leggi fisiche che governano i tornado?
Perchè la forza gravitazionale generata dalla nave madre attira interi edifici ma non la barchetta degli ubriaconi francesi?
Potremmo continuare all’infinito ma, se ci pensate bene, infondo…
“Ma chi se ne fooooooooooooooootte” cit. Ciro Priello
In conclusione
Independence Day: Rigenerazione è sostanzialmente un’immensa ode all’inutilità, una chiassosissima baracconata senza idee e senza anima. Non emoziona, non diverte, non sbalordisce se non per il suo colossale fallimento.
Emmerich riesce qui a toppare anche in quello che dovrebbe essere il punto forte del film: l’impatto visivo. Con un montaggio sgraziato, una CG videoludica (tranne che in qualche caso) e una messa in scena troppo fracassona, il regista mette su uno spettacolo impietoso, incapace di reggere il confronto con il (brutto) primo capitolo.
Non sono però queste osservazioni ad averci spinto sin qui. Il fondamentale quesito alla base di questo articolo è uno e uno soltanto:
Le dimensioni contano?
Nel suo tentativo di raggiungere il meglio attraverso l’enorme, Emmerich ci ha donato la prova visiva che, alla fine, le dimensioni contano ben poco.
Per fare cinema di livello, non serve un film grande, ma un grande film! Con Independence Day:Rigenerazione, il regista tedesco dimostra di non aver imparato niente dalla televisione italiana delle scorse decadi. La risposta alla regina di tutte le domande, ci era già stata fornita dal maestro Ignazio Colnaghi nel suo corto datato 1975.
Dalla rubrica Recensioni di film brutti, per ora, è tutto! Ci vediamo la prossima settimana!