In un’ennesima edizione dei David di Donatello dotata di tanta qualità, ma effettivamente fin troppa poca quantità, nella lista dei premiati a brillare per originalità e intraprendenza è stato sicuramente Gatta Cenerentola.
La squadra capitanata da Alessandro Rak, dopo il fortunato esordio con L’arte della felicità, adatta con una forma ancora più personale e diversificata, dopo l’ottima prova di Matteo Garrone, una favola dell’opera di Giambattista Basile Lo cunto de li cunti. Il risultato è Gatta Cenerentola. Seppur non esente da difetti, si tratta di una produzione coraggiosa, una ventata d’aria fresca nel (quasi) morto panorama del cinema italiano moderno, da sostenere a priori per permettere anche al Bel Paese di investire nel campo semi-sconosciuto dell’animazione.
La storia parte dall’ambizioso progetto del magnate Vittorio Basile, impegnato nella produzione di una sofisticata nave, la Megaride, come punto di partenza per rinnovare e dare visibilità alla città di Napoli. I suoi piani saranno però sconvolti da Angelica, sua promessa sposa, e da Salvatore Lo Giusto, segretamente innamorato e comprimario di quest’ultima, lasciando così la figlia dell’armatore, Mia, sola e dispersa tra le grinfie della coppia di traditori. Toccherà quindi a Primo Gemito, precedentemente guardia del corpo di Basile, il duro compito di riportare tutto alla normalità.
Inutile dire che la novità nella trasposizione sta nell’aver “spostato” l’ambientazione ai giorni nostri, andando così a rappresentare un realistico affresco della Napoli moderna, una città dell’indubbia bellezza, immersa fino a fondo nella decadenza.
Gli effetti visivi, vincitori dell’ambito premio cinematografico italiano, sebbene un po’ grotteschi nel character design, ma indubbiamente muniti di fluidità, danno il meglio di sé nei fondali, tra scorci della grigia area portuale distrutta dall’inquinamento e lunghi corridoi popolati da ologrammi. Perché è di questo che parla Gatta Cenerentola, un’autentica storia di fantasmi. I protagonisti si scontrano all’interno della nave, vuota e satura di malinconia, intervallati da ologrammi dedicati a vecchie registrazioni, segno di un passato che ora non esiste più.
Il triste lamento del disfacimento influenza la totalità dell’opera, sia nelle scelte prettamente registiche, che nella realizzazione della colonna sonora.
I brani, realizzati da vari artisti partenopei, alternano i loro guizzi folkloristici per narrare la storia di una città morta, ma che non ha dimenticato le sue origini. Altro grande valore aggiunto, sia stilisticamente che qualitativamente.
I personaggi, invece, spesso mostrano i loro limiti in corso d’opera, tra lacune nella caratterizzazione e poca ispirazione.
A spiccare però è la figura di Salvatore, l’usurpatore che si è arricchito mentre Napoli cadeva, con una psicologia sicuramente più accurata, come per la compagna, e un doppiatore di prim’ordine. Non mancano performance canore durante il film, da parte di questo personaggio a metà tra un ambizioso artista e un corrotto trafficante di cocaina. Angelica, invece, è il personaggio che le vicissitudini trasformeranno maggiormente, con una profonda evoluzione caratteriale. Da avida conquistatrice e traditrice, diverrà una donna sull’orlo della disperazione, che nel momento della perdita riflette sull’immoralità delle sue azioni. Persa come tutto il resto dei personaggi, nelle rimembranze del passato.
La qualità migliore di Gatta Cenerentola sta quindi nel rielaborare una favola classica attraverso un genere poco esplorato, tra budget risicati e scetticismo diffuso.
La multiforme palette cromatica dona spessore ad una trama concettualmente valida e tremendamente attuale, non priva di scelte autoriali degne delle grandi produzioni. Non mancano elementi classici, come l’ambiente pregno di principesse mancate e matrigne egoiste, ma il tutto è inserito in un contesto ben più consapevole ed adulto; quasi a voler rendere l’animazione un mezzo di formazione per la totalità del pubblico. Scene forti, ironia pungente e visioni ancestrali del declino partenopeo, ben più formale che artistico, come sottolinea fortemente l’opera di Rak.
Sono quindi le scene singole a fare buona parte del lavoro speculativo, immerse in una dimensione alternativa carica di ricordi e promesse mancate.
Peccato per il finale, frettoloso e invadente, che, quasi a tagliare improvvisamente l’opera, perde colpi nella parte più intensa dell’intero lungometraggio. Però, non sono di certo questi difetti a rovinare Gatta Cenerentola, un inno all’originalità e all’audacia artistica, che fa della sua opera sia una lezione che un monito per le nuove generazioni.
Un omaggio ad un passato cinematografico ricco, per guardare ad un futuro alternativo in un presente vuoto.