Marito e moglie nella realtà così come nell'apocalittica finzione. John Krasinski ed Emily Blunt insieme alla ricerca della sopravvivenza in futuro abbastanza prossimo dove il silenzio ti salva la vita.
Si potrebbe utilizzare l’espressione in codice che indica la distruzione della Casa Bianca “Olympus has fallen” ma sarebbe riduttivo per descrivere A Quiet Place. A cadere è il mondo intero, in un futuro nemmeno così troppo lontano. La locuzione ideale potrebbe essere il famoso proverbio “il silenzio è d’oro“. Perchè un semplice rumore significa morte. Dopo aver recitato in Detroit, JohnKrasinski se la canta e se la suona (con il volume a zero) in questo suo nuovo film che dirige ed interpreta, coadiuvato dalla moglie, reale e filmica, EmilyBlunt. Un film questo A Quiet Place capace di giocare perfettamente con la tensione, utilizzando l’afasia forzata come leitmotiv del film. E qui torniamo al proverbio sopracitato dal momento che gli alieni che hanno appena invaso la Terra sono ciechi ma ci sentono fin troppo bene, ben lontani dall’essere quei resuscitati tanto cari alla meravigliosa saga di De Ossorio.
Il nostro pianeta dunque è di nuovo oggetto di un’invasione da parte di forme di vita poco amichevoli. Ma la guerra dei mondi si è conclusa subito ed in favore di questi alieni che sembrano mostri marchiati dalla Umbrella Co. Sono affamati e pronti a sterminare qualsiasi cosa faccia rumore, costringendo di fatto gli essere umani ad adattarsi a loro pur di sopravvivere. Ci provano Lee ed Evelyn insieme ai loro figli, tentano di sopravvivere in questo mondo trasformato che li costringe a camminare su dei sentieri di sabbia pre costruiti e ad adottare ogni tipo di precauzione possibile.
L’umanità, o quel che ne rimane, è costretta ad un silenzioso passo indietro. In un paesaggio bucolico giacché fertile, la famiglia in questione vive con un rimorso della perdita di un figlio che li porta a compiere un gesto fuori da ogni razionalità e logicità: Evelyn aspetta un altro bambino. Un gesto tanto romantico quanto poco assennato che forse rappresenta l’unica nota narrativa stonata del film, al netto dei soliti cliché che comunque fanno egregiamente il loro lavoro. Ciò che però salta all’occhio è il contesto nel quale si svolge A Quiet Place. L’afasia forzata, il silenzio ad ogni costo. Questa scelta narrativa permette una tensione perenne ed incontrollabile sin dalle prime azioni (e non battute) del film.
Basta un sussulto appena accennato per scatenare la ferocia degli alieni. E così la famiglia in questione diventa l’archetipo di una condizione collettiva, figlia di una repressione forzata e necessaria. La vita viene vissuta in funzione dell’invasore alieno, non c’è tempo, tantomeno il modo, per lasciarsi andare. Non si può ridere, non si può piangere. Non si può vivere ma si può sopravvivere. Ancor meno parlare. Il silenzio domina e predomina, salvo i rumorosi cataclismi che portano avanti la storia e che metterannoa dura prova la ben poco ridente famigliola. In questo contesto surreale emerge però l’umanità. L’unica cosa che distungue i sopravvissuti dagli animali e dai nemici. Quell’umanità che portà Lee a proteggere sua moglie Evelyn, ad aiutare sua figlia sordomuta Regan ed a crescere il piccolo e timoroso Marcus. Un alchimia pressoché perfetta quella che si crea nel ridottissimo cast.
Si prova dunque a cercare un momento per tornare a parlare, per tornare ad essere umani in questo posto forzatamente tranquillo. L’emotività legata al dramma familiare che si consuma subito è appena accennata e non per pigrizia di scrittura. È impossibile lasciarsi andare. È impossibile perdere tempo nel raccontarsi con il linguaggio dei segni. L’unica cosa che conta è quella di sopravvivere e proteggere gli indifesi. Non c’è dunque un rapporto approfondito padre-figlio come in The Road. C’è solo una paura eterna e perenne che aleggia sopra gli Abbott, una paura che si avvicina a quella dell’horror vacui insito in ognuno di noi. Con la differenza che in A Quiet Place è molto più concreto e diretto. Rarissimi i tempi morti, l’azione prende subito il via e non c’è un attimo di respiro.
Krasinski sceglie di andare dritto al sodo dal momento che la tematica dell’invasion movie è ormai inflazionata. A quello che potrebbe sembrare banale, il regista-attore inserisce una peculiarità che rende questo suo film uno dei migliori prodotti mainstream. E che magari potrebbe dar vita ad un franchising interessantissimo.