Rashomon – Il cinema giapponese conquista il mondo
Rashomon - Il cinema giapponese conquista il mondo - Nel periodo postbellico il cinema giapponese arrivò finalmente in tutto il mondo grazie al capolavoro del maestro Kurosawa, Rashomon, che si aggiudicò il Leone d'Oro a Venezia ed un Oscar.
Oggi siamo abituati a sentire spesso parlare dei prodotti audiovisivi nipponici.
Tra film e animazione, il Giappone esporta una considerevole quantità di materiale ogni anno, ma il primo fu Rashomon. Tuttavia questo fenomeno è cominciato soltanto a partire dagli anni ’50. Nonostante l’industria cinematografica giapponese fosse già valente a partire dagli anni ’20 e durante la seconda guerra mondiale, è solo nel dopoguerra che comincia a circolare fuori dai confini nazionali.
Con la fine della guerra e del regime imperiale, il cinema nipponico conosce un vero e proprio boom, sia numerico che qualitativo.
I protagonisti sono fondamentalmente gli stessi del periodo bellico, ma possono finalmente operare in piena libertà. Sarà Akira Kurosawa, regista figlio del periodo bellico in cui aveva esordito, il primo ad arrivare dove nessuno era ancora arrivato.
Rashomon, uscito nel 1950, cambiò per sempre la storia del cinema giapponese.
Il film è tratto da due racconti di Akutagawa e racconta dell’uccisione di un samurai e dello stupro della sua donna da parte di un bandito. Una trama piuttosto semplice, senonché la storia viene narrata a posteriori da un monaco, un taglialegna ed un passante mentre si riparano da un improvviso temporale. La particolarità è dunque quella di rappresentare le scene chiave del raccontopiù volte, tante quante le diverse versioni dei fatti portate dagli uomini. Infatti ogni personaggio tenderà a riportare i fatti in base ai propri interessi. È l’esaltazione dell’incertezza, dell’impossibilità di determinare la realtà dei fatti.
Kurosawa gira un film profondamente nichilista, così come le storie da cui trae la pellicola, ma addolcendo leggermente il finale. Il regista non si schiera mai, si limita a raccontare gli eventi così come i suoi personaggi hanno convenienza a fare.
Èlo spettatore ad essere chiamato in causa, a tentare di risolvere l’arcano da sé.
La frammentazione della narrazione non fa che sottolineare una simile condizione nell’umanità. Ed è proprio l’essere umano ad uscirne sconfitto, sopraffatto dall’egoismo e cieco verso il prossimo. È il trionfo del relativismo, dell’impossibilità di codificare in maniera univoca i fatti che accadono nel mondo.
Merita poi un discorso a parte l’incredibile performance attoriale di Toshirō Mifune, da molti ritenuto il miglior attore nipponico di sempre e tra i migliori al mondo. Mifune, che qui interpreta il bandito, catalizza su di sé tutta l’attenzione, donando una prestazione magnetica, quasi rabbiosa ed intensa fino alla follia. Proprio come Kurosawa, la sua carriera internazionale verrà lanciata con il successo del film.
Quello che Kurosawa mette in scena è un capolavoro sia dal punto di vista narrativo che da quello formale.
La regia pienamente matura del giapponese contribuisce in maniera determinante a rendere unico Rashomon. Kurosawa crea degli spettacolari quadri che fanno spesso ricorso alla profondità di campo. I personaggi sono spesso isolati, piazzati su due o tre livelli di profondità, creando immagini complesse e di grande intensità. Questi momenti coincidono spesso con istanti in cui i personaggi devono prendere decisioni o si trovano in disaccordo fra loro, andando a sottolineare visivamente la lontananzae la vicinanza tra le parti in gioco. Si tratta perlopiù di quadri statici, in cui la tensione non viene generata dal movimento quanto dagli sguardi e dalle proporzioni fra i corpi, nell’attesa di uno sviluppo repentino.
Anche la fotografia e l’uso della luce naturale riflessa sui volti contribuisce a determinare l’ambiguità della pellicola. Con un forte contrasto tra luci ed ombre che possono cambiare in ogni momento, Kurosawa non fa altro che sottolineare come bene e male si mescolino continuamente, rendendo così i personaggi molto complessi. Da sottolineare, infine, dal punto di vista tecnico l’uso del Bolero di Ravel, da ricondurre alla natura circolare del film, che torna continuamente sui suoi passi per narrare più volte gli stessi fatti.
Come accadde, dunque, che il film di Kurosawa fece il giro del mondo?
Un anno dopo la sua uscita nei cinema giapponesi la pellicola fu invitata, a sorpresa, a partecipare al Festival di Venezia. Nel 1951 i tempi sono ormai maturi, nonostante il parere contrario della casa di produzione il film sbarca nel Vecchio continente. Rashomon strega il mondo: vincerà infatti, da perfetto sconosciuto, il Festival, per poi ricevere l’Oscar al miglior film straniero l’anno successivo. Da allora la fama di Kurosawa non farà che aumentare, insieme a quella cerchia di autori già citati che verranno esportati sulla scia di questo successo.
Il suo cinema influenzerà intere generazioni di registi.
Ad esempio, George Lucas dichiarerà di essersi ispirato al suo lavoro per realizzare Star Wars. Il primo western di Sergio Leone, Per un pugno di dollari, altro non è che un remake di un suo film. Sono solo casi presi ad esempio di un’eredità sconfinata, che continua ancora oggi ad affascinare le nuove generazioni.