Si era fatto tanto parlare della “svolta elettronica” dei Decemberists. In un’epoca in cui più o meno tutti i grandi gruppi rock hanno compiuto questa svolta, non ci sarebbe stato nulla di cui stupirsi. Ma non è successo.
I Decemberists sono lo stesso vecchio gruppo folk di sempre, il che per inciso è un bene. D’altra parte loro sono uno dei pochi gruppi a non avere il minimo bisogno di svecchiare il proprio sound, che suona ancora in questo disco più che mai fresco e convincente.
I’ll Be Your Girl, ancora una volta, è un compendio di più generi mescolati omogeneamente e poggiati su un songwriting competente e arrangiamenti professionali.
Le tastiere e i synth ci sono, sì, ma scompaiono dopo metà disco. Quasi come un tentativo poco convinto. D’altra parte, il resto dell’album non li fa rimpiangere.
All’ascolto emerge subito come il primo singolo, Severed, sia stato solo un assaggio di quello che è I’ll Be Your Girl. Abbiamo un’ottima introduzione, Once in My Life. Una fila di capolavori al centro: Starwatcher, Tripping Along e Your Ghost. Il country rock di Sucker’s Prayer, il blues rock di We All Die Young.
Per coronare il tutto, la lunga cavalcata di Rusalka, Rusalka/The Wild Rushes, che non ha nulla da invidiare a Fairport Convention o Crosby, Stills, Nash & Young. Anche i pezzi rimanenti non sono solo riempitivi. La title track, così come Cutting Stone ed Everything Is Awful, sono esempi di un folk rock moderno, osiamo dire giovane e fiorente.
I’ll Be Your Girl va quindi a porsi come l’ultimo capitolo della saga di una band che mette a segno un colpo dopo l’altro, a diciassette anni di carriera. Ci sono band che dopo dieci anni hanno già dato tutto. Invece I’ll Be Your Girl raggiunge tranquillamente il livello dei due capolavori precedenti dei Decemberists. Cioè The King Is Dead (2011), e What a Terrible World, What a Beautiful World (2015).
Dopo quest’album, i Decemberists si confermano una volta di più come uno dei gruppi migliori (e più sottovalutati) del decennio. Capaci di creare vera musica, fare cose sempre uguali ma sempre diverse. Coerenti con sè stessi, disinvoltamente abili, propongono la loro rilettura della storia del folk e dintorni come cosa di tutti i giorni.
E noi dobbiamo ritenerci fortunati di vivere in un’epoca in cui possiamo ascoltare album come questo.