La storia di una famiglia americana attraverso la musica.
C’è un film che si chiama American Pop. Del 1981, è un film di animazione ideato e prodotto da Ralph Bakshi, autore già di Fritz il gatto (1972) e Il signore degli anelli (1978). Il film è girato con la tecnica rotoscope, cioè disegni ricalcati sopra sequenze in live action. Ma durante il film intervengono vari materiali filmici, fotografie, sequenze da documentari, riprese televisive, computer grafica, in un insieme omogeneo. Bene, già questo dovrebbe avervi un pò incuriosito.
American Pop racconta la storia di una famiglia americana, i Belinsky, attraverso quattro generazioni; e lo fa attraverso la musica. I quattro protagonisti, padre, figlio, nipote e pronipote, sono tutti in qualche modo musicisti. O meglio, gente di spettacolo.
Ecco la storia in breve.
Ai primi del ‘900, la famiglia Belinsky fugge dalla Russia degli zar ed emigra in America, dove il piccolo Zalmie si guadagna presto da vivere negli ambienti del vaudeville e del cabaret esibendosi come comico. Tuttavia, non matura mai come artista completo, finendo anzi nei giri della mafia durante il proibizionismo.
Il figlio di Zalmie, Benny, diventa invece fin da subito un bravo pianista jazz, ma, introverso com’è, decide di riservare il suo talento e non vendersi all’industria discografica. Benny viene poi ucciso durante la Seconda Guerra Mondiale, per la quale si arruola volontariamente.
Lascia orfano il figlio, Tony, che come altri musicisti della stessa generazione (John Lennon, Roger Waters, Pete Townshend), soffre gravemente della mancanza di un padre perduto in guerra. Tony fugge di casa e trova sfogo nella controcultura degli anni ’60, finendo col fare da liricista a una band psychedelic rock. Tuttavia, anche per lui le cose non vanno molto bene: il suo talento viene presto soffocato dalle droghe.
Durante il suo peregrinare verso la California, Tony ha un figlio illegittimo, Pete, da una cameriera del Kansas. Rincontratolo per caso, anni dopo, lo porta con sè a New York. Presto Tony scompare, lasciando l’ultimo Belinsky da solo nella grande metropoli. Ma è proprio lui che, alla quarta generazione, riesce a mettere a pieno frutto il talento ereditato, diventando una vera e propria rockstar.
Il film è denso di riferimenti, collegamenti, sottigliezze e citazioni.
Per analizzare a fondo tutto il mondo della musica in American Pop, ci vorrebbe un intero volume accademico. Basti fare un piccolo esempio: nell’ultima parte del film, Tony e Pete si ritrovano squattrinati a New York. Tony non lavora più alle sue canzoni, e spende tutto in droga.
Il bambino allora dice al padre che deve sforzarsi a scrivere perchè ha bisogno di soldi. E Tony a quel punto risponde sarcasticamente “All I need is love!” Il riferimento è chiaro, ma i Beatles non vengono mai menzionati nè uditi.
Un altro piccolo spunto. Alcune delle sequenze ambientate durante la Prima Guerra Mondiale sono accompagnate da un arrangiamento della popolare marcia militareOver There (1917). Solo chi la conosce può coglierne la presenza.
E non mancano strizzate d’occhi anche alla cultura extra-musicale. Per segnalare l’inizio degli anni ’30, uno dei personaggi dice “Garbo talks!”, citando lo slogan del primo film sonoro interpretato da Greta Garbo, Anna Christie (1930).
Insomma, vi sarete fatti un’idea.
Ovviamente la colonna sonora del film è significativa, perchè deve accompagnare il trascorrere delle epoche e le vicende dei personaggi. Andiamo quindi in ordine cronologico. Dal Maple Leaf Rag di Scott Joplin (1899) passiamo sopra la Grande Guerra alle composizioni di George Gershwin degli anni ’20. Lo swing di Sing, Sing, Sing nella versione di Benny Goodman (1937) accompagna le immagini della Seconda Guerra Mondiale.
L’hard bop e il cool jazz entrano prepotentemente con la rabbia di Tony e la sua fuga da casa negli anni ’50. Abbiamo la quasi obbligatoria Take Five del Dave Brubeck Quartet (1959), e, con un pò di imprecisione storica, Cantaloupe Island di Herbie Hancock (1964).
Il rock and roll fa la sua comparsa dapprima con Turn Me Loose di Fabian Forte, del 1959. Negli anni ’60 presto arriva il folk rock di Bob Dylan (Don’t Think Twice, It’s All Right, 1963) e dei Mamas & the Papas (California Dreamin’, 1965).
Quando Tony giunge in California, esplode la controcultura, ed ecco allora prontamente Somebody to Love dei Jefferson Airplane. Il soffocamento della controcultura nelle droghe viene accompagnato da Janis Joplin, Jimi Hendrix e The Doors, e non a caso: Hendrix, la Joplin e Jim Morrison sono tutti e tre morti per lo stesso motivo.
Gli anni ’70 nichilisti di Tony e Pete vengono commentati da I’m Waiting for the Man in una versione live da solista di Lou Reed. Si giunge infine alla rottura del punk rock (Pretty Vacant dei Sex Pistols, 1977) e dell’heavy metal (se tale si può definire Hell Is for Children di Pat Benatar, 1980).
Il trionfo finale come rockstar di Pete viene affidato ad un medley in cui compare anche la vecchia Blue Suede Shoes, del 1955 (la scelta si spiega col revivalismo Reaganiano, vedi qui). Infine, sui titoli di coda, la Freebird dei Lynyrd Skynyrd, come epico riassunto dell’intera saga.
Tutto questo è soltanto un riassunto veloce.
Per apprezzare a fondo questo film occorre una profonda conoscenza della storia della musica, della cultura e della società americana del ‘900, per cogliere come tutti i tasselli si incastrino alla perfezione. Vanno notati infiniti particolari, come il simbolismo dell’armonica a bocca che viene tramandata di padre in figlio, o il fatto che Zalmie riesca finalmente a “cantare” solo quando alla fine denuncia i suoi amici mafiosi.
American Pop è un film che va visto e rivisto, una matassa da districare per musicofili, ma anche cinefili e appassionati di cultura e storia. E, ripetiamo, ci vorrebbe un volume intero per elencare tutti i buoni motivi di questo film ed esplorare la ragnatela di significati che vi si trova.