Tedua – Recensione Mowgli

Tedua
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Perchè un album trap dovrebbe destare ancora stupore?

Perchè Tedua, pseudonimo di Mario Molinaro, è forse la prima figura innovativa della nuova scena rap italiana. Non parliamo di testi o di attitudine, non parliamo di stranezze da artista; parliamo di fatti: Tedua non fa solo trap, fa drill.

Cosa vuol dire “drill”? Vuol dire che non va a tempo. Vuol dire che non è lui a seguire il beat, ma al massimo è il beat a seguire lui. Altrimenti, ognuno per la sua strada, e che sia il malcapitato ascoltatore a scegliere a chi stare dietro. Rime? Neanche a parlarne.

Inutile dirlo, il trucco del fuori tempo funziona se ben strutturato, ma non regge per sempre. Se poi non c’è neanche quello, nulla da fare.

E Tedua ha utilizzato nel suo primo lavoro Orange County California tutti gli attrezzi di cui disponeva, che a distanza di soli dodici mesi si sono un po’ arrugginiti. Il suo Mowgli, uscito il 2 marzo 2018 per Sony Music, è una berlina forse progettata bene ma con evidenti problemi al motore.

Tedua

Già da un po’ il genovese aveva cominciato a far intendere che il nuovo album sarebbe stato legato al personaggio di Kipling e a vicende da giungla, attuando la strategia ormai molto in voga nell’ambiente della trap che prevede l’associare qualsiasi aspetto della propria vita artistica a quello che presumibilmente sarà il tema del prossimo disco. Come fossero tutti concept album.

Ma Mowgli di sicuro non è un concept album: nulla ricollega al Libro Della Giungla, se non il titolo di qualche brano (Al lupo al lupo, Jungle, Cucciolo d’uomo) e la copertina; si parla di “giungla urbana”, che a pensarci un po’ su non è diverso dai “brutti quartieri” narrati da Sfera Ebbasta. Nulla su cui ci fosse bisogno di costruire un hype del genere.

Nessun featuring, solo il fedele Chris Nolan a fabbricare basi. E si sente: il pianoforte prende ormai il sopravvento nelle produzioni e la voce obliqua e sgraziata di Tedua riempie i minuti ma non lascia soddisfatti. Tedua non ha diritto ad essere l’unica voce nel suo disco? No, per carità, ce l’ha eccome. Ma non è detto che funzioni. Il quid aggiunto dai variegati stili vocali dei contributors ad Orange County fa sentire senza dubbio la sua mancanza e lascia l’amaro in bocca.

Non è un disco da buttare, però.

Nella giungla che è questo album, però, due sono le regine indiscusse: l’arrabbiatissima Burnout, il singolo lanciato in pasto al Web apposta per placare l’impaziena dei fan e ammutolirli fino all’uscita dell’album, e il vero capolavoro del disco Vertigini. Una dichiarazione di supremazia (“Il giorno che muoio diventa vedova Genova, voglio una mimetica ermetica, in metrica sposto te nel dimenticatoio”) e una lettera d’amore, quasi rovinata dal ritornello sguaiato. E soprattutto, Tedua ha affilato la penna: i testi di Mowgli sono più maturi e consapevoli, nei pochi brani che spiccano. Una nota positiva, nel caos di questa giungla.

https://open.spotify.com/album/2F4YVNFy52kTEGDXdeYiZX?si=Pnez6NFNRtekZa1-w9iYYQ

mowgli

Genere: Trap

Anno di pubblicazione: 2018