The New York City subway – La fotografia di Stanley Kubrick

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Candidato per tredici volte al Premio Oscar, conquista una sola statuetta nel 1969 per gli effetti speciali di 2001: A Space Odissey; vincitore del Leone d’oro alla Carriera del Festival del Cinema di Venezia nel 1997.

Stanley Kubrick, regista, sceneggiatore, produttore e fotografo, è considerato uno dei più geniali cineasti della Storia del Cinema.

Nacque a Manhattan il 26 luglio del 1928. Sviluppa fin da subito delle passioni come le fiabe nordiche, gli scacchi, la poesia simbolistica e la filosofia, in particolare il pensiero del filosofo Nietzsche. A 13 anni, dopo aver ricevuto come regalo dal padre una macchina fotografica, Stanley comincia a sviluppare un particolare interesse verso le arti visive che lo accompagnerà per il resto della sua vita… e per il resto della nostra.

Passò la sua adolescenza ad esplorare New York ed immortalare le proprie emozioni, presupponendo di già una notevole propensione nel “fissare” il mondo attraverso l’obiettivo. Una foto in particolare saltò agli occhi della rivista Look, l’immagine di un venditore di giornali affranto per la morte del presidente F. D. Roosevelt, che gli procurò l’assunzione nello staff come apprendista fotografo.

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La fotografia di Stanley Kubrick

Secondo Helen O’Brian, a capo del dipartimento fotografico di Look, Kubrick riuscì a generare il maggior numero di articoli pubblicati oltre ad essere il più giovane fotografo che la rivista avesse mai avuto.

Kubrick era solito usare la luce naturale, innamorato dei sottopassaggi metropolitani ne amava imprimere l’umore dei passanti.

“Credo che catturare un’azione spontanea, piuttosto che studiare attentamente una posa, rappresenti sul piano estetico l’uso più valido ed espressivo della fotografia”

Catturare queste emozioni si rivelò esser una sfida difficile anche per lui, considerando l’alto numero di passeggeri che potevano interporsi tra lui e il suo raggio di visione e ancor peggiore il movimento intrinseco dei treni poteva rendere impossibile l’impressione fissa. Ma tutto ciò non bastò ad arrestare la sua naturale ed incontrollata verve artistica.

“C’è un aforisma assai noto che dice che quando un regista muore diventa un fotografo. E’ un’osservazione acuta ma un po’ superficiale e di solito proviene da quel tipo di critici che si lamentano perchè un film ha una fotografia troppo bella. Ad ogni modo ho iniziato come fotografo. Ho lavorato per la rivista Look dai diciassette anni ai ventuno. Quell’esperienza per me ebbe un valore inestimabile.”

Le sue foto raccontano attraverso i volti dei newyorkesi tante piccole realtà. La frenesia della metropolitana, ma anche i suoi spazi vuoti, la classe altolocata contrapposta ai giovani lustrascarpe, studenti universitari ricurvi sui libri in bellissime biblioteche e pugili stravolti e grondanti sudore sul ring. Una New York in movimento e piena di vita, fatta di geometrie e vita quotidiana.

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Scatti di una bellezza disarmante, che a posteriori rendono ovvia la sua scalata al successo; si intravede già l’artista e non sorprende come questo sia potuto emergere e diventare un grande regista.

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