L’ultimo album di Vance Joy è un’indie folk da 6/7.
Quanti artisti indie folk sono rimasti nel 2018? Vance Joy è certamente uno di questi. Arrivato fuori tempo massimo per il genere, il cantautore australiano non ha molto da dire su uno stile che è ormai in decadenza. Ed in effetti, sono passati i tempi di quell’indie folk ingenuo, un pò tormentato, un pò lamentoso, un pò intimista. Non siamo più nel 2014.
Nel suo secondo disco, Vance Joy propone una formula in qualche modo stantia, già sentita, piuttosto banale. Ciò che lo salva è la sua giovane età, e il fatto di essere apparso sulla scena “di recente”. Forse qualcuno si ricorderà di quel pezzo, Riptide, che colorò un pò l’estate del 2013. Ecco, rimane probabilmente la miglior cosa che Vance Joy abbia fatto. Tutto il resto delle sue canzoni, seppur buone, seppur coinvolgenti, non riescono a svecchiare un genere al tramonto.
In questo disco, d’accordo, non mancano i momenti buoni: Lay It on Me, We’re Going Home, Like Gold, Alone with Me sono canzoni che spiccano certamente sulle altre per melodia e atmosfera. Ma l’impressione rimane sempre quella, come dicono gli inglesi, di una musica un pò middle of the road. Sarebbe a dire, musica altamente canonica senza molto da dire.
Insomma, un 6/7, e siamo buoni. Perchè: in un panorama in cui i Bon Iver, dall’indie folk, sono passati a una cosa gigantesca come 22, A Million (2016); i Fleet Foxes hanno tirato fuori un capolavoro come Crack-Up (2017); e persino i Decemberists, dopo anni e anni di carriera, hanno iniziato ad accogliere un pò di elettronica; in un panorama simile, un lavoro come questo di Vance Joy non può che lasciare un pò di apatia.
Se, dunque, da una parte, di Nation of Two saranno ben contenti i fan di Mumford & Sons, The Lumineers ed Of Monsters and Men, dall’altra Vance Joy non si rivela, con questo secondo lavoro, un artista da tenere particolarmente d’occhio. Nè Nation of Two si pone come un disco che dovrà essere particolarmente ricordato.