Difficile pensare a “La danza della realtà” e “Poesia senza fine” come due opere distinte. Altresì, esse vanno inquadrate all’interno di un unico continuum artistico narrativo.
Le opere ultime di Alejandro Jodorowsky possono e devono essere considerate come un uncio film. Attraverso le quali il regista mette in scena il racconto autobiografico della propria vita. Dall’infanzia a Tocopilla espressa in “La danza della realtà”. All’adolescenza e la prima fase dell’età adulta a Santiago del Cile in “Poesia senza fine”, fino al definitivo trasferimento a Parigi.
Jodorowsky ripercorre le tappe della sua crescita personale ed artistica. Soffermandosi sui momenti salienti e significati che hanno determinato lo sviluppo in lui di una forte personalità creativa rivoluzionaria. Jodorowsky rievoca ricordi del proprio passato filtrati da una soggettività immanente eppure rivisitata da uno sguardo maturo oggettivizzante. Le visioni di una vita trascorsa sono indirizzate in maniera piuttosto univoca, inducendo lo spettatore ad una percezione empatica del racconto. Prendendo le parti del giovane Alejandro contro tutte i personaggi a lui avversi nel corso della sua esperienza. Tuttavia, come detto, nell’esplorazione della sua memoria il regista concede spazio per riconsiderazioni che lasciano travisare sentimenti di rammarico e nostalgia, specie nei confronti della figura del padre.
Jaime Jodorowsky è dipinto come una figura autoritaria e conservatrice, seppure dotato di uno spirito rivoluzionario data la sua iscrizione al partito comunista e il suo professato ateismo. E’ un uomo duro con il proprio figlio, che tenta ininterrottamente, fino all’abbandono definitivo di lui, di plasmarlo a sua immagine e somiglianza. Imponendogli di assumere una personalità, un atteggiamento e infine un’attitudine per intraprendere una futura professione medica. Generando, solo, nel giovane Alejandro una volontà di ribellione, attraverso la quale esprimere a pieno la propria propensione ad una sensibilità intensa. Una ribellione che nonostante tutto viene messa in atto, permettendo alla sua vena poetica e pan-artistica di emergere con virulenza.
Il rapporto con il padre trova ampio spazio nella dimensione espressiva della pellicola.
Un rapporto conflittuale fino all’esilio volontario in Francia, momento di scontro massimo tra i due. Un conflitto mai risolto, rimpianto dal Jodorowsky ormai maturo della vecchiaia. Conscio ora di come il padre sia stata una figura determinante della sua vita, rendendolo l’uomo e l’artista che è.
“Padre mio, non dandomi niente, mi hai dato tutto. Non amandomi, mi hai insegnato l’assoluta necessità di amore. Negando Dio, mi hai insegnato a valorizzare la vita. Io ti perdono Jaime. Mi hai dato la forza di sopportare questo mondo, dove non esiste più poesia.”
La persona dello stesso Jodorowsky, ormai vecchio e maturo, prende vita nella sua medesima opera. Apparendo in numerosi cameo, intervenendo a commentare più volte le scene con uno sguardo di consapevolezza raggiunta. Rendendosi guida sciamanica di un sé stesso più giovane, nell’incertezza di un viaggio volto all’accettazione di una vita intesa come esperienza intensa.
“Tu hai paura di vivere. Non hai per vivere per quello che sei. Dovresti sentirti in colpa di vivere come gli altri vogliono. Qual è il senso della vita? La vita. La vita non ha senso, bisogna viverla. Vivi!”
-Poesia senza fine
Eppure le due opere ultime di Alejandro Jodorowsky presentano delle differenze, tali da renderle concettualmente due pellicole singole e distinte, ma allo stesso tempo un unico film.
“La danza della realtà” segue le prime tappe del viaggio di Jodorowsky durante la sua infanzia a Tocopilla. Viene dato maggior spazio alla rappresentazione del rapporto con i genitori, e in particolare la figura del padre. Seguendo la sua personale storia lontano dal focolare domestico durante un tentativo di assassinio politico del generale Ibanez nella capitale. Il film compie una notevole digressione narrativa che ruota attorno al personaggio di Jaime Jodorowsky. Di contro la rappresentazione del padre, la madre viene interpretata in maniera molto caratteristica, simbolicamente attraverso l’intonazione di un canto perenne. Legata ai fantasmi del proprio passato, in particolare il padre deceduto, il cui spirito proietta sulla figura del figlio. Il regista, ora, fa notevole uso di effetti visivamente spettacolarizzanti, intervenendo attraverso la computer grafica, con la quale ricrea momenti simbolici tramite l’uso di forti allegorie e metafore.
Al contrario in “Poesia senza fine” la qualità visiva dell’opera poggia su una nota di spettacolarizzazione scenica. Questa pellicola risente di un’impostazione decisamente teatrale. L’effettistica è di natura artigianale ricorrendo all’uso di “kuroko”. Uomini vestiti di nero che svolgono il ruolo di macchinista sul palcoscenico. Inoltre viene dato maggior peso all’evoluzione artistica di Jodorowsky, e il suo impatto con un mondo popolato di artisti. Dai quali viene influenzato e nei quali trova forti amicizie. Quello rappresentato in “Poesia senza fine” è il tempo a Santiago del Cile. E’ il tempo della prima maturazione, ed è il tempo della scoperta dell’amore. Sono gli anni delle prime relazioni sentimentali e sessuali, che incideranno profondamente nell’animo del regista. L’amore e il sesso sono di fatto parti costitutive della visione poetica di Jodorowsky, in contatto con la propria emotività e il proprio corpo.
L’intera filmografia jodorowskiana è segnata da un gusto deciso per il racconto metaforico.
Le sue pellicole sono contrassegnate dalla presenza di numerose allegorie e parabole il cui obiettivo è la critica radicale alla società contemporanea, nell’era del capitalismo. La sua satira tuttavia si caratterizza per una maggiore lucidità e intuito. Quello che Jodorowsky ricerca attraverso le sue opere è un ritorno ad una propria intima spiritualità, connessa con un mondo naturale e soprannaturale di cui l’individuo è parte. Allo stesso modo le opere ultime si collocano su tale scia politica, riproponendo ugualmente una determinata ideologia e poetica. Ugualmente, seppure più personali come film, emerge con forza l’estro creativo e critico del regista. Sono pellicole che si muovono su terreni cari al poeta, tra allegorie e metafore, che si fanno strumento per un racconto autobiografico. Popolate da figure simboliche, e proprio come simbolo le proprie caratteristiche vengono enfatizzate ai fini espressivi della rappresentazione.
Jodorowsky è tra i pochi registi ed artisti con un’autorialità tale da consentirgli di realizzare un’opera biografica autoreferenziata, senza che rimanga nel terreno appunto dell’autoreferenzialità fine a sé stessa ma che possa essere considerata come prodotto filmico di interesse. Per qualità artistiche eccezionali e volontà di intenti di profondi contenuti.