“Itpop”. A quanto pare ora si chiama così, quello che fino a poco fa si chiamava “indie italiano”.
Grazie al cielo, abbiamo smesso di chiamare “indie” ciò che con l’indie non c’entrava nulla ( è un vizio che abbiamo soprattutto noi italiani), sia riguardo a sonorità che riguardo ad etica artistica: difatti, ormai le etichette “indie” sono le nuove major, i gruppi “indie” fanno sold out all’Alcatraz di Milano e vanno a Sanremo.
Che in questo minestrone di chitarrine e tastiere Bontempi ci sia anche un personaggio in particolare che si fa notare, che spicca, è altrettanto normale. Che questo personaggio sia colui che nella scena non solo nuota controcorrente ma cerca appositamente la corrente contraria, è altrettanto normale, o quantomeno comprensibile. Che questo personaggio sia uno dei fondatori stessi di questa scena, è ben più strano.
Sì, stiamo parlando di Calcutta. Si era capito?
Edoardo D’Erme, in arte Calcutta, sembra uscito da un monologo di Giancarlo Kalabrugovic: sguardo annebbiato, scazzo perenne, maglioni “vintage” (per usare un eufemismo), cappellino da baseball in testa, barba incolta. Il Pino De’ Palazzi dell’Agro Pontino.
La sua parabola artistica è altrettanto stravagante: Forse… nel 2012 e The Sabaudian Tapes nel 2013 sembrano consacrarlo senza speranza ad artista sfigato che si spaccia per indipendente e alternativo (ATTENZIONE: i due album sopra linkati non sono adatti ai deboli di cuore o a quelli a cui piace sentire le chitarre accordate).
Invece, chiamato a rapporto Niccolò Contessa de I Cani, nel 2015 esce per Bomba Dischi Mainstream, che ribalta la situazione: Calcutta diventa il nuovo poeta metropolitano, la voce degli adolescenti dello stivale, l’idolo trasgressivo dei radical chic. Il Sid Vicious dell’“itpop”.
Mainstream non è malvagio, soprattutto in confronto ai due stralunati lavori precedenti: pianoforte, qualche synth, testi ancora criptici ma quantomeno non totalmente nosense. Certo non abbastanza per giustificare la fama che gli ha procurato.
Una semplice casualità ? I famosi 15 minuti di celebrità ?
No. Decisamente no.
All’improvviso Calcutta è diventato un punto di riferimento nella neonata scena italiana, una sorta di influencer, il guru di qualsiasi hipster che decida di fare musica. Cavalcando l’ondata di hype che in un modo o nell’altro si è tracinato addosso, il buon Edoardo ha colto l’occasione per perdere qualche rotella: Orgasmo e Pesto, gli ultimi due singoli usciti, sono stati chiaramente scritti dopo qualche cicchetto di troppo. Non c’è altra spiegazione.
Non bisogna però considerare solo la dimensione artistica di Calcutta, per comprendere, o provare a comprendere la sua rilevanza.
Calcutta è un pilastro. Perchè? Perchè è facile da imitare: basta vestirsi a caso, ingurgitare una quantità spropositata di vino e mettersi a gettar parole su un foglio bianco. Così facile che basta farsi un giro per Bologna per convincersi che ognuno, al mondo, ha almeno sette sosia, e Calcutta forse qualcuno di più.
Calcutta è un’icona neopunk, nel peggior senso possibile. L’elogio del “do it yourself”. Un’ode al lo-fi meno lo-fi del mondo. Si sta imponendo con una personalità che nella sua normalità è diventata “strana”, senza nemmeno muovere un dito. Perchè lui non ha mai preteso di essere un terremoto nella scena italiana.
E adesso si ritrova ad essere l’idolo degli adolescenti italiani, probabilmente suo malgrado. Ilche gli consente di poter fare tutto ciò che vuole, senza che nessuno possa osare anche solo alzare la mano e dire: “Ehi, non è che forse ci stiamo facendo abbindolare?” (la recente uscita di scena, tutt’altro che trionfale, durante un live a Quelli Che Il Calcio è solo un altro degli inspiegabili episodi di cui si è reso protagonista, che sono veramente tanti, ve lo assicuriamo).