Principe Libero: boom di ascolti ma fan divisi per Faber
Il Fabrizio De André di Luca facchini ha fatto il boom di ascolti arrivando a toccare i 6,1 milioni di spettatori soltanto nella prima serata (24,3 per cento di share)
Faber meglio de L’Isola dei Famosi (3,8 milioni), oppure del maghetto Harry Potter che deliziava gli spettatori su Italia Uno(1,6 milioni).
La tv, generalista per eccellenza, è riuscita a creare un biopic sulla vita del famoso cantautore genovese. Dopo i festeggiamenti, però, le nuvole. E non stiamo parlando dell’album omonimo di De André, stiamo parlando di veri e propri nuvoloni carichi di pioggia che si sono addensati all’orizzonte già dal primo episodio del film.
Eserciti di scontenti si sono ritrovati sul nostro gruppo ufficiale.
“Ma che parlava romanesco De André?”
La critica maggiore arriva proprio all’attore Luca Marinelli, il quale ha ancora cucito addosso quell’immensa interpretazione de Lo Zingaro del film di Mainetti Lo Chiamavano Jeeg Robot. Neanche l’ottima mimica facciale, i movimenti che ricordavano (in particolare da lontano, ma anche da vicino) Faber son riusciti a salvare Marinelli. Troppo romano, troppo marcato. Quello dell’accento però è stato un problema generale, lo stesso Ennio Fantastichini ma anche il Paolo Villaggio (Gianluca Gobbi) hanno subito critiche pesantissime da parte di puristi e non. Sì perché, la cosa inspiegabile è anche l’accento vagamente toscano che Gobbi decide di dare a Paolo Villaggio. Francesco Prisco su IlSole24Ore alza una critica anche ai rapitori di Dori e Fabrizio, dicendo che “erano stati tolti da Centocelle e messi lì, tra le montagne sarde”.
“Dov’è Genova nel biopic di De André?”
Semplicistica la gioventù di Faber, trascorsa insieme ad un Villaggio scemotto tra bordelli, prostitute e buon vino. E non è una critica da professore scandalizzato de La Città Vecchia ma una constatazione.
L’opera di Facchini non riesce a cogliere il vero spirito di De André, non si avvicina minimamente allo spesso umano e intellettuale che aveva il cantautore genovese. Qualche altro utente giustifica la Rai chiamando in causa i filtri. Essendo stato un film a episodi andato in onda in prima serata e destinato a molti, non si poteva non romanzare un po’ la vita di Faber. Romanzarla e renderla un prodotto fruibile per tutti. Il sorriso di Marinelli, un po’ troppo abbondante durante tutto il film. De André non era felice, come ogni poeta (attribuzione da lui detestata) soffriva. E soffriva in malo modo.
La cover de La Canzone di Marinella cantata da Mina, che lancia De André è giusto, hanno fatto bene ad inserirla. Ma non si possono tralasciare le pubblicazioni di Non al denaro, non all’amore, né al cielo o Storia di un impiegato. Può una canzone come Coda di Lupo non fare da sfondo alla crescita di De André? Non si può raccontare De André senza questi due dischi.
Forse il vero problema non è il film su De André quanto la gelosia dei fan verso De André
Sempre Prisco continua dicendo che forse, molto probabilmente, le critiche maggiori sono mosse dalla schiera di ammiratori del cantante. Non se ne sentiva il bisogno: «De André è roba nostra». Nessun regista avrebbe potuto donare un De André amabile, almeno nessun regista italiano.
La cosa migliore da fare è accettare il prodotto per quello che è: un prodotto destinato ad una televisione generalista.