Cosmosè un trattato sulla vacuità dell’esistenza umana, su quella realtà che ci tiene prigionieri e che ci spinge per forza a trovare una ragione per cui continuare a vivere.
La si può trovare tra le stelle, tra le pagine di un libro, oppure in un uccellino morto impiccato nel mezzo di un bosco. Witold, il protagonista dell’ultima opera di Andrzej Zulawski, un giorno si imbatte in un volatile morto e trova in esso il cosmo. Eleva questo singolo evento, privo di qualsivoglia importanza, a elemento cardine per ogni sua riflessione sulla propria esistenza e su quella altrui.
Inizia così un gioco sadico e perverso perpetrato dal regista, caratterizzato da simboli vacui e falsi, dove sia lo spettatore che i personaggi si perderanno alla ricerca del nulla. Cosmosè un’analisi sull’indagine umana; su quella che rivolge lo sguardo verso il creato nella speranza di poter trovare un segno, che possa dare un motivo all’esistenza di tutti.
Un’opera immessa che raccoglie tutta la poetica delirante e grottesca dell’autore.
Un teatro ricco di elementi surreali che mette in scena un emozione difficile da descrivere a parole, ma che emerge prepotentemente toccando lo spettatore durante la visione, divenendo comprensibile. Cosmosè un film d’emozione, una pellicola da ascoltare in silenzio, un’odissea costellata da citazioni e omaggi all’arte contemporanea e passata, dove l’essere umano è perduto, smarrito in un caos generazionale che non offre nulla; se non il vuoto e la finzione.
I protagonisti dell’opera, Witold e il suo amico, dopo il ritrovamento dell’uccellino impiccato, incominciano a vedere intorno a loro, in ogni dove, simboli; elementi che possano giustificare quello che è accaduto, donandogli un senso su cui poter riflettere. Smettono addirittura di vivere e non parlano d’altro, trascinando questo delirio anche nel romanzo di Wiltod. Un libro in principio indifferente all’accaduto, ma che lentamente si trasforma ispirandosi alla morte dell’uccellino ed interrogandosi sulle motivazioni che l’hanno causata.
Andrzej Zulawski con questo passaggio annienta il valore che l’uomo fa risiedere nell’arte, suggerendo allo spettatore che gran parte di essa potrebbe essere nata dal nulla e non da un vero e proprio ragionamento.
Una critica rivolta agli autori contemporanei e tutti coloro che dal nulla, riescono abilmente a costruire castelli sospesi nel cielo da poter vendere alla gente. Un’arte priva di essenza e fine a se stessa, partorita da eventi privi di qualsivoglia poetica o ispirazione. In Cosmosogni personaggio è sopra alle righe, ma al tempo stesso ben delineato sia nella sua caratterizzazione e sia nella sua presenza scenica.
Figure esasperate che gridano silenziosamente e che si muovono a spasmi, in un’esistenza che ripudiano sommessamente, ma dalla quale non possono scappare. Una prerogativa del cinema di Zulawski che, a differenza di altre sue opere, qui ritorna in maniera meno preponderante, lasciando più spazio ad una commedia capace di ricordare a tratti quella di Luis Bunuel. Victória Guerra, attrice di rara bellezza, e Jonathan Genet fornisco così due interpretazione grandiose, a tratti viscerali, capaci di emozionare e di coinvolgere lo spettatore per la loro potenza visiva e scenica.
La regia dell’opera, a tratti virtuosa, ma spesso classica, appare perfetta per la storia narrata, risultando abile nei movimenti di macchina, ed al servizio di una sceneggiatura enigmatica e allegorica.
Un’infinità di simboli che caratterizzano il film, ma che risultano privi di significati e creati appositamente per disorientare sia lo spettatore che il protagonista. Un film metacinematografico che punta il dito verso l’uomo, responsabile della costruzione delle sue convinzioni e del cosmo in cui è imprigionato. Gli oggetti e gli eventi non hanno una ragione, siamo noi a trovargliene una. Non possiamo esistere senza motivazioni, ne abbiamo bisogno per poter essere in pace con noi stessi e per poterci evolvere verso un qualcosa di nuovo. Un discorso filosofico che viene trasposto anche all’arte e ad ogni credenza dell’uomo, religione compresa, spogliando ogni elemento della sua essenza e mostrando allo spettatore per com’è realmente.
Cosmos è un film che fa sentire vuoti, soli, che stringe il cuore in una morsa malinconica e dolorosa, lasciando il proprio pubblico smarrito ma estasiato dalla meravigliosa realizzazione dell’opera. L’ultima fatica di Zulawski è la summa della sua poetica, il raccoglimento di ogni suo pensiero e di ogni sua caratteristica, capace di toccare le corde più profonde dell’animo umano, risvegliandone il lato poetico.
Un lavoro eccezionale, il migliore del suo anno e tra i più eccelsi del suo secolo.
Un’ulteriore prova dell’immensa bravura del regista, che termina con la dissoluzione dell’illusione del cinema, svelando al pubblico i trucchi e gli strumenti che si trovano dietro ad ogni opera cinematografica, Cosmoscompreso. Durante i titoli di coda potremmo dunque assistere alla realizzazione di alcune scene del film in questione, assistendo alla conclusione del discorso intrapreso all’inizio dell’opera.
Non c’è nulla di fantastico nel mondo, niente in cui credere e niente di cui meravigliarsi, ma l’uomo continua a farlo lo stesso. Continua a proiettare le sue emozioni e le sue speranze nella prima cosa utile, riversandoci tutto se stesso e facendo di essa il proprio cosmo, la sua gabbia personale.