2010, Festival di Cannes. Xavier Dolan presenta Les Amours imaginaires, il suo secondo lungometraggio.
Un’opera in cui il regista si sottopone in prima persona ad un’analisi psicologica, focalizzandosi sulla riflessione sul proprio essere e sulle proprie incertezze, condivise con un’intera generazione.
È autunno.
Nicolas, desideroso di soddisfare i propri futili capricci, propone improvvisamente di lasciare Montréal, isolandosi dalla frenesia cittadina e trasformando il periferico paesaggio agreste in un profano eremitaggio.
Francis e Marie, assecondando le voglie frivole dell’oscuro oggetto del loro desiderio, si avviano inesorabilmente verso l’autodistruzione. Un’autodistruzione, la loro, fatta di marshmallows e sigarette, di una manifesta frivolezza e di una serietà abilmente nascosta dai protagonisti.
È autunno.
Le foglie dorate, volteggiando, cadono sulle loro figure, confondendosi con i riccioli ambrati dell’efebico Nicolas, quasi a stabilire, attraverso la giustapposizione, un legame tra la campagna del Québec e il personaggio. Tra la concretezza del naturale e la caducità dell’ideale. Tra l’incontaminatezza e la corruzione.
Non c’è niente di vero al mondo oltre all’amore folle.
Citando Alfred de Musset, esponente del romanticismo letterario francese, Dolan definisce il proprio punto di vista, enunciando l’essenza della sua concezione del mondo, nella quale viene respinta qualsiasi ipotesi di approccio razionale. Gli amori folli e immaginari descritti nella pellicola, semplici capricci, non sono altro che futilità, idee prive di fondamento che fluttuano nel scintillio stroboscopico di un microcosmo privato di ogni determinazione spazio-temporale.
Francis e Marie. Protagonisti dalle personalità completamente antitetiche, complementari come le luci colorate che esaminano i loro corpi, colti nel rapporto sessuale. Rosso lei, verde lui.
Francis e Marie. Due rette che proseguirebbero parallele se non fosse per lui: Nicolas. Un adone dagli occhiali à la Lolita; un personaggio dalla leggerezza tipicamente francese, sospeso tra passato e presente, come il cinema di Dolan, il cinema dell’eccesso.
Grazie alla presenza dell’eterogeneità sessuale e a quella di un triangolo amoroso che trova i propri vertici nei personaggi precedentemente citati, l’amore viene analizzato nella sua interezza.
Partendo dall’innamoramento fino ad arrivare all’indifferenza che segue la delusione sentimentale, l’amore viene restituito nella sua totalità, presentandone anche le contraddizioni. Se, per Francis e Marie, assume i connotati dell’amore cortese, per Nicolas, è un semplice gioco, un passatempo al quale approcciarsi con estremo distacco.
Al culto e all’idealizzazione dell’amato, un essere sublime e irraggiungibile, si contrappone la disattenzione e la vaghezza di quest’ultimo, un moderno don Giovanni.
Subordinando alla bellezza e al piacere ogni valore morale, Nicolas, proteso al solo soddisfacimento delle proprie stravaganze, rifiuta le determinazioni proprie della scelta, cercando ossessivamente l’incerto. Respinge passato e futuro. Vive intensamente il presente alla ricerca di un piacere inaspettato.
Combinando i temi fondamentali della Nouvelle Vague alla sgargiante estetica da videoclip, il cinema dolaniano, fortemente ancorato alle tradizioni,guarda con profonda ammirazione alla cinematografia contemporanea e trova le sue principali fonti di ispirazione in figure del calibro di Leos Carax, Wong Kar-wai e Pedro Almodovar.
Il suo eclettismo, la sua tendenza ad amalgamare elementi eterogenei, rendendoli tra loro perfettamente armonici, non si limita al campo visivo, ma contamina anche la scelta del sonoro, rispetto al quale Dolan è fortemente debitore soprattutto al già citato Leos Carax. La colonna sonoraassume l’aspetto di una sceneggiatura nella sceneggiatura, rivelatrice del non-comunicato e dei pensieri dei personaggi.
Il regista, però, non si limita solamente alle citazioni riguardanti la sfera cinematografica.
Tra petites madeleines da assaporare durante il tè e limonades da bere nei chiassosi caffè dalle vetrate splendenti, tra Marcel Proust e Arthur Rimbaud, Xavier Dolan decidedi soffermarsi anche sull’ambiente letterario. Unascelta che verrà interpretata da una parte della critica come manifestazione di un atteggiamento pretenzioso, costruito e falsamente intellettuale. In poche parole, come mero narcisismo.
Tramite l’utilizzo del found footage, destinato ad un ipotetico film-inchiesta, vengono concretizzati gli incubi di un’intera generazione, la cui inquietudine viene resa manifesta anche attraverso il perpetuo movimento della macchina da presa.
Alla trama narrativa viene affiancata la sotto-trama extradiegetica di stampo documentaristico, in cui si susseguono personaggi che, sebbene non appartengano al microcosmo dipinto dal regista, risultano pienamente funzionali alla narrazione.
Confessano di fronte alla macchina da presa le colpe quotidiane, gli amori non corrisposti, i desideri e le insoddisfazioni: dalle loro parole emerge, ancora una volta, la visione del demiurgo.
Les Amours imaginaries si eleva, quindi, a vera e propria rappresentazione dello spirito del nostro tempo.
All’età di ventun’anni, Xavier Dolan ritrae abilmente l’età dell’indefinito e dell’indecisione, un’età caratterizzata dalla mancanza di contorni netti e di punti di riferimento concreti.
Raffigura una società in cui l’illusorio ha sconfitto la sostanza, in cui l’evanescenza dell’ideale è stata preferita alla concretezza del reale. Una società che svanisce seguendo una chimera.