Con otto film all’attivo, dei quali è di tutti sceneggiatore, quello di Alexander Payne è un nome piuttosto noto quanto ammirato tra gli appassionati del cinema moderno.
Il suo humour tagliente e cattivo è sicuramente il punto di forza della propria produzione (che gli ha garantito due premi Oscar alla sceneggiatura), volta a ironizzare amaramente sui vizi e i costumi dell’attuale società americana. A quattro anni dall’ultimo (ottimo) film, Nebraska (di cui trovate un approfondimento qui), Payne decide di dare una veste nuova all’umorismo nero che lo caratterizza, partorendo una pellicola fantascientifica dal titolo piuttosto esplicativo: Downsizing.
La storia si svolge in un futuro imprecisato, nel quale la scienza è riuscita a trovare il modo per rimpicciolire le persone (ad un’altezza di quasi tredici centimetri). La scoperta, il cui obiettivo è favorire una diminuzione della produzione di rifiuti, spinge una buona parte della popolazione mondiale a farsi rimpicciolire (in maniera irreversibile) e a vivere in mondi in miniatura completamente identici a quelli reali nei quali la vita costa notevolmente meno. Il nostro eroe Paul Safranek e sua moglie Audrey decidono di farsi rimpicciolire in quanto ciò porterebbe alla risoluzione dei problemi economici che li affliggono. All’ultimo momento, la moglie decide di rinunciare, lasciandolo da solo in quel mondo.
Un ottimo spunto per quello che sarebbe potuto essere un ottimo thriller, un film distopico alla Black Mirror o una commedia drammatica basata su questa bella trovata. Difatti la prima mezz’ora di Downsizing è piena di belle idee e trovate interessanti. Se non fosse, però, che tutto ciò si rivela assolutamente inutile. L’idea del rimpicciolimento è del tutto ininfluente sulla trama e sul tema che il film dimostra di voler affrontare. Le quasi due ore e mezzo che spesso stimolano il sonno, erano perfettamente evitabili.
Downsizing, d’altronde, mette tanta, troppa carne al fuoco. Il film arriva, goffamente, a toccare più temi (politico, scientifico, ambientale, sociale) senza riuscire ad approfondirne adeguatamente, neanche uno. Essi sono, inoltre, presentati in maniera schematica, inconcludente e piuttosto banale, e portati avanti con una fastidiosa ambiguità.
Tutto ciò porta lo spettatore ad un totale disinteresse nei confronti del film. Un disinteresse alimentato anche dalla presenza di personaggi insulsi e pressoché inconsistenti. Paul (Damon), il nostro eroe, è il personaggio più piatto di tutta l’opera: non presenta il benché minimo sviluppo, né un’adeguata profondità psicologica o un background degno di nota. La co-protagonista, Gong, è uno stereotipo vivente (il doppiaggio italiano non aiuta), oltre che un personaggio piuttosto fastidioso: il perfetto esempio di come gettare all’aria un background interessante e ben costruito. L’unico a salvarsi è Dusan, interpretato da un come sempre ottimo Cristoph Waltz; il suo è un personaggio simpaticamente cinico, con una buona, seppur piccola, evoluzione. Ovviamente il rapporto tra personaggi piatti non può che risultare piatto a sua volta. In effetti esso è superficiale e quasi inesistente, ed impedisce, quindi, ogni possibilità di empatia con la storia.
Il problema principale di Downsizing è chiaro fin da subito: l’atteggiamento. Alexander Payne palesa l’intenzione di volare alto, risultando fastidiosamente pretenzioso. Il film nasconde una banalità di fondo, proponendo una rete di riferimenti metaforici e temi attuali piuttosto importanti. Purtroppo Payne si dimostra incapace di gestire tutti quegli elementi nella maniera corretta e, quindi, di realizzare le proprie alte ambizioni.
Fatta eccezione per il buon Waltz, gli attori risultano tutti piuttosto mediocri, a partire da Matt Damon che ci regala (o meglio, infligge) una delle sue peggiori interpretazioni. Buon lavoro da parte del direttore della fotografia, Phedon Papamichael, candidato agli Oscar nel 2014 per Nebraska, film dello stesso Payne. Ottima la colonna sonora, firmata Rolfe Kent, conosciuto per aver composto la sigla della serie tv Dexter.
Ciò che stupisce di Downsizing è il constatare che i problemi più grandi del film sono riscontrabili nella sceneggiatura. Ciò risulta inusuale per uno come Payne che ha fatto della scrittura, il punto forte di ogni sua pellicola. Si spera sia solo un passo falso nella carriera di un ottimo regista, che forse, più che la statura dei propri personaggi, dovrebbe ridimensionare le proprie idee.