Pochi film nella storia del cinema hanno utilizzato musiche più improbabili di quelle adottate da Vincent Gallo per il suo capolavoro indipendente, Buffalo ’66 (1998). Improbabili, si intende, rispetto ai contenuti. Il film è una storia di alienazione, miseria e pochezza.
Il protagonista, lo stesso Gallo, assieme a Christina Ricci, vaga per la provincia americana tra desolazione, corruzione e paura. Il film è tutto costruito su silenzi, incomprensioni, imbarazzi e rimpianti. E allora, quale musica migliore per contornare questa atmosfera, del rock progressivo degli anni ’60 e ’70? Ma andiamo con ordine.
Da precisare prima di tutto, è che gran parte delle musiche del film sono composte ed eseguite dallo stesso Vincent Gallo (immancabilmente). Altre canzoni inserite nel film sono poi: Fools Rush In (Where Angels Fear to Tread), di Nelson Riddle and his Orchestra. E I Remember When, di Stan Getz. Già uno spostamento notevole: due pezzi orchestrali.
La ragione per cui Gallo vuole utilizzare musiche del genere per il suo film, che poco hanno a che vedere con gli eventi rappresentati, è poco chiara. Che l’intenzione sia di fornire al film una vena poetica, oppure di creare un contrasto musica/immagini. O ancora, di decontestualizzare la musica proprio per dare un senso dello spaesamento di cui è preda il protagonista. Quale che sia la ragione, l’effetto funziona.
Ma non finisce qui. Come già accennato, nel film di Gallo fa prepotentemente il suo ingresso il rock progressivo degli Yes e dei King Crimson. Un genere di musica, in altre parole, che molto raramente si può sentire in un film americano. Due scene di Buffalo ’66, in particolare, sono passate alla storia del cinema con queste musiche in sottofondo.
Due momenti particolari che sembrano costruiti quasi come videoclip, situazioni a sé stanti che potrebbero anche essere ammirate senza vedere il resto del film.
La prima, al bowling, è quella in cui Christina Riccifa il tip-tap su Moonchild dei King Crimson (la canzone è del 1969). La seconda è invece la lunga sequenza in cui il protagonista, introdottosi in un bordello, vuole assassinare l’uomo che ritiene causa di tutte le sue sventure. In un lungo slow motion con in sottofondo Heart of the Sunrise degli Yes (1971), egli si fa strada lentamente tra le ballerine in topless, e porta a termine il suo proposito.
Ancora, sui titoli di coda, si ode Sweetness, un’altra canzone meno nota degli Yes. In entrambi i casi, di Moonchild e Heart of the Sunrise, l’effetto è dirompente. Di più: la presenza di queste musiche così fuori luogo contribuisce ad accentuare la vacuità del film, intesa come pochezza dell’esistenza.
Il protagonista vaga infatti già sconfitto, fin dall’inizio, in luoghi che non gli appartengono e tra persone con cui non riesce a comunicare. Che Vincent Gallo, poi, abbia voluto utilizzare Yes e King Crimson tanto per vantarsi della propria cultura musicale, può essere un fattore aggiunto: erano gli anni ’90, internet era ancora poco diffuso, e questi erano i grandi nomi dimenticati della musica rock.
In Buffalo ’66, la musica ha il compito di disorientare, spezzare la coerenza e aumentare il disorientamento del film.