In un’annata come questa non era facile portarsi sul podio, ma La Mummia ha fatto davvero il possibile per trovarsi qui.
C’era tanta attesa per il reboot del famoso mondo dei mostri targati Universal, il Dark Universe: una serie di reboot appunto di quei film classici entrati nell’immaginario collettivo e che hanno segnato un genere importante come l’horror e che, salvo rari momenti, appare sempre più in declino.
Il battesimo del fuoco è toccato a La Mummia, alla sua terza apparizione sul grande schermo, con un film davvero poco credibile, a partire da TomCruise, apparso molto poco a suo agio nei panni del truffaldino soldato Nick Morton, che darà il via alla rinascita della malvagia Ahmanet, una conturbante Sofia Boutella che si confermerà con Atomica Bionda. In questo senso, proprio lei appare l’unica novità davvero degna di nota, regalando una buonissima prova.
Le scene grottesche non sono l’ideale per un “actioner” come Cruise e lo possiamo notare proprio dalla sua prova incolore. L’intento del regista Kurtzman, produttore di moltissimi blockbuster di spessore, era evidentemente quello di dare una svolta moderna strizzando l’occhio più al film del 1999 diretto da Sommers, mantenendo comunque un certo legame con il passato. Emblematica la scelta di coinvolgere altri personaggi del Dark Universe (che non riveleremo) in questo suo film. Una sorta di continuity che possa legare anche i futuri capitoli del reboot targato Dark Universe.
Il problema è che in La Mummianon funziona praticamente nulla. La perenne ambiguità dei personaggi rende difficile lo sviluppo di una qualsivoglia empatia. Troppi espedienti un po’ lasciati al caso e le varie citazioni a Un lupo mannaro americano a Londra, non lo rendono lontanamente vicino ad essere un buon film, tantomeno una buona CGI e la cura particolare delle scenografie. Troppo poco per rendere La Mummia un film effettivamente encomiabile. Ed è un vero peccato perchè le intenzioni della Universal meriterebbero un plauso. Volersi inserire con uno storico reboot nel cinema d’intrattenimento dominato ormai da cinecomis di dubbio gusto, è una scelta coraggiosa che andrebbe premiata. Ma per ora ci limitiamo a premiare l’intento e non certo la riuscita.
Quando è stato giusto abbiamo elogiato Netflix per quanto di buono ha prodotto in questi primi anni di vita, ma Death note proprio no. Indifendibile.
Lo studente Light trova il Death note, un misterioso quaderno, dotato di un potere straordinario: la persona, il cui nome e cognome è scritto nelle pagine, morirà (è possibile de anche decidere il “come” e il “quando”). Light, insieme alla sua fidanzata, tenterà di eliminare tutti i criminali. Dovrà però fare i conti con il vigile detective L. Netflix si è cimentato nella rischiosissima impresa di tasporre uno dei più famosi manga giapponesi (da cui è stato tratto l’altrettanto celebre anime), Death note. Un progetto destinato a fallire già dall’inizio. Tutto è sbagliato, dalla scelta del cast (Macaulay Culkin, in confronto all’imbambolato protagonista è Marlon Brando) alla scelta del regista (Adam Wingard, quello di Blair Witch !?). La sceneggiatura, tirata via come non mai, fa acqua da tutte le parti, sfiorando in moltissime sequenze il comico involontario, e per chi non conosce il manga è impresa ardua capirci qualcosa. Peccato, con un soggetto del genere, le possibilità di fare un bel film c’erano tutte, ma la pellicola diretta da Wingard è davvero insalvabile.
Eccoci al più alto gradino del podio. Ad onor del vero tutti i film dal settimo posto in poi avrebbero potuto stare in questa posizione ma le regole della classifica, ahinoi!, ci hanno costretti a scegliere un ordine ben preciso.
Baywatch è una sequela di avvenimenti senza senso che, nonostante la natura goliardica del film, impediscono allo spettatore di poter apprezzare il lavoro svolto. Seth Gordon decide di trasformare dei semplici bagnini in poliziotti al di sopra di ogni legge, capaci di fare ogni cosa, anche di evitare la prigione per omicidio colposo. La regia dell’opera non aiuta a salvare il titolo dall’insufficienza, infatti le molte sbavature a livello tecnico peggiorano la situazioni già critica a causa di una sceneggiatura piena di falle ed elementi fuori posto. Il posto da bagnino, conteso come un lavoro in banca, da vita ad una serie di competizioni assurde per ottenere il lavoro, senza prendere mai considerazioni esperienze o titoli pregressi.
Baywatch è una vera occasione sprecata, non solo perché aveva la possibilità di porsi come un “buon film della domenica”, ma perché possedeva anche la capacità di non prendersi troppo sul serio. L’unica nota davvero positiva del film è il cast femminile e maschile, che riesce per tutta la durata del lavoro di Seth Gordon a risollevare gli animi del pubblico in sala. Corpi scolpiti e prosperosi, messi in primo piano ed esaltati da oli appositi, per non far cadere l’attenzione dello spettatore sugli innumerevoli difetti del film. Un’espediente funzionale e capace di non rendere totalmente inutile la visione di Baywatch che, a parte qualche trovata geniale, sarebbe stato un’opera da demolire completamente.
I personaggi, stereotipi di loro stessi, e la trama ridicola e a tratti irreale, sono i veri nemici di questo lavoro, che si conclude anche nel più banale e scontato dei modi. Il nerd, grasso e sfigato, conquista la ragazza più sensuale della spiaggia e riesce a portarsela anche a letto, con tanto di applausi da parte sua. Questo non è semplicemente inverosimile, questo è un passaggio dalla comicità al fantasy vero e proprio e non può essere tollerato.