Il terzo album dei Django Django è come i precedenti. Ma non è un male.
Il quartetto inglese Django Django aggiunge un nuovo capitolo alla propria saga neo-psichedelica. Bentornati nel deserto, tra melodie arabeggianti, atmosfere oniriche, intrecci vocali eterei.
Marble Skies, nella carriera dei Django Django, non aggiunge nulla; nè, effettivamente, toglie nulla. Si registra un aumento di presenza di strumenti elettronici, synths e tastiere. Ma per il resto il disco prosegue coerentemente la strada già tracciata dai predecessori. Sarebbe a dire che i Django Django non sembrano interessati per il momento ad un’evoluzione musicale.
Tuttavia, sono abbastanza giovani e creativi da poterselo permettere. Infatti, anche se l’album non brilla per originalità, le canzoni ci sono e funzionano. Innanzitutto i singoli, Tic Tac Toe e In Your Beat, scelti sapientemente. Poi anche varie tracce sparse nell’album, soprattutto Champagne, Sundials, Fountains. L’insieme, in virtù della propria coerenza, funziona bene e senza sbavature.
Il carattere dominante è sempre quello della “psichedelia/western” alla quale il quartetto ci ha già abituati nei precedenti lavori. L’aria è calda, le chitarre riffeggiano, le percussioni incalzano, le tastiere incidono. Non c’è mai un momento debole, ed ogni singola canzone è potenzialmente valida.
Se quindi, da una parte non si può parlare di un miglioramento o di un’evoluzione, dall’altra i Django Django appaiono ancora una formazione salda e tranquillamente capace. In definitiva, il fan medio della band troverà sicuramente in Marble Skies di che sollazzarsi.
Per gli altri, Marble Skies è esattamente quello che dovrebbe essere: l’ultimo album dei Django Django. E come tale, non riserva sorprese. Ma forse non è la sorpresa l’elemento chiave dello stile di questo gruppo. Capito questo, Marble Skies è un ottimo terzo disco.