Tusk, Kevin Smith (2014)
“Groovy!”
Di questa piccola perla, secondo acuto della seconda vita artistica di Kevin Smith, vi avevamo già parlato brevemente in QUESTO ARTICOLO.
Guida pratica per sopravvivere all'ingiusta cancellazione di Ash Vs Evil Dead.
“Groovy!”
Di questa piccola perla, secondo acuto della seconda vita artistica di Kevin Smith, vi avevamo già parlato brevemente in QUESTO ARTICOLO.
Il film seguirà la grottesca storia di Wallace Bryton (Justin Long), giovane podcaster e socio del suo miglior amico Teddy Craft (Haley Joel Osment). I due gestiranno uno show radiofonico di dubbio gusto in cui si diveranno nel deridere bizzare disgrazie capitate a sprovveduti in giro per il mondo.
Con l’intento di intervistare un tizio che si è amputato una gamba per sbaglio, Wallace partirà alla volta del Canada. Il suo viaggio si rivelerà però vano: lo sftortunato bersaglio delle sue mire passerà a miglior vita a causa dell’incidente.
La sua delusione sarà però di breve durata. In un bar troverà affisso uno strano annuncio in cui, un vecchio marinaio (uno straordinario Michael Parks), sembrerebbe voler condividere le strampalate storie di una vita con qualche buon ascoltatore. In cambio delle sua saggezza, sembrerà voler chiedere in cambio solo qualche piccola faccenda domestica.
Senza cadere nello spoiler, ci limiteremo a dire che Tusk è una pellicola capace di toccare nuove vette del grottesco. Divertendosi come un pazzo, Smith realizza un opera che partendo dal suo cinema più classico, fatto di dialoghi ed immaginario fumettistico, sfocia in orrore spietato e disturbante.
La risata, elemento tipico del suo cinema, rimane ma cambia natura; essa è crudele, fuori luogo. Di fronte alle vicende, ridiamo e ci angosciamo all’unisono.
In questo sta la grandezza di Tusk: è un film libero e scevro da qualsiasi schema, che attinge dal genere per farne ciò che vuole. E’ atto d’amore verso la settima, difettoso, è vero, ma fatto con cervello e la voglia di spassarsela come un ragazzino dietro la sua prima cinepresa.
“Quindi solo per questo ce lo infilate nella preparazione in vista di Ash vs Evil Dead?”
“Call me Ash!”
Gli ultimi due consigli sono pensati per coloro che stanno perdendo le speranze. Come di certo saprete, Starz non si è ancora pronunciata riguardo il rinnovo di Ash vs Evil Dead.
Nonostante i suoi tanti pregi, ciò che davvero lega il cuore dei fan a questa saga ormai quarantennale (The Evil Dead è del 1981!) può essere riassunto con un nome ed un cognome: Ash Williams.
Un ragazzo qualsiasi che si trova di fronte alla sfida più grande: quella col Male. Mutilato e depauperato dei suoi affetti, Ash è costretto ad elevarsi, diventando più di se stesso. Nascondendo il tormento sotto una fitta armatura forgiata nella spavalderia, egli diventa quello che tutti noi conosciamo.
Impreparato, scorretto, improvvisato, el Jefe è un mix letale di battutacce e palle quadrate. Eternamente combattuto fra la voglia di sangue e quella di “sugar”, scisso fra egosimo e lealtà , sembra sempre trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
E’ l’americano medio costretto a confrontarsi contro forze antiche e titaniche. Non è privo di macchie e di paura, anzi, trabocca di sangue e terrore. La sua forza non abita neanche nell’intelletto o nella pianificazione: catapultato contro il nemico, si fa largo improvvisando a colpi di motosega.
La vena di eroismo di Ash, quella che, nonostante tutto, lo rende davvero el Jefe, risiede nella sua assoluta e personalissima purezza.
Se siete convinti che la terza sarà anche l’ultima stagione di Ash vs Evil Dead, forse è il caso che cominciate a guardarvi intorno. Sappiamo che il vostro cuore sarà sempre e solo del buon vecchio Bruce Campbell, ma il mare è pieno di pesci e forse non è poi tanto cattiva l’idea di cominciare a valutare “nuovi amori”…
Restando ad esempio nel 1981, scopriamo un leggendario antieroe “coetaneo” di Ash. Questo, infatti, è anche l’anno d’uscita di 1997: Fuga da New York, immortale capolavoro di John Carpenter.
Ambientato in quello che negli anni ’80 pensavano sarebbero stato il decennio successivo, il film racconterà la storia di Snake Plissken (un indimenticabile Kurt Russel). Egli sarà un ex eroe di guerra pluridecorato divenuto criminale e condannato alla pena capitale.
Isolata da mura invalicabili e campi minati, le peggior feccia del Paese ha costruito un nuovo ordine fra le macerie della vecchia metropoli.
Gli eventi prenderanno una svolta inaspettata quando l’Air Force One precipiterà in questo oscuro brulicare di malviventi. Il Presidente verrà così fatto ostaggio dal boss noto come il Duca (Isaac Hayes). Disperato, il commissario Bob Hauk (Lee Van Cleef), responsabile della prigione, affiderà la missione di recupero ad un riluttante Snake. Per convincerlo gli verrà promessa la grazia.
Onde evitare che Plissken usi le sue non comuni abilità per darsela a gambe, Hauk deciderà di fornirgli un ulteriore incentivo: piazzerà nel suo corpo due bombette pronte ad esplodere nel giro di 24 ore. Se entro quel lasso di tempo la missione non sarà compiuta, gli ordigni non verranno disinnescati e il nostro protagonista si ritroverà dilaniato.
Fuga da New York è sicuramente una delle opere più grandiose di John Carpenter. Grazie al gioco di luci e colori il maestro costruisce un tetro mondo in cui le regole del mondo civilizzato si dissolvono.
Unendo la sua inconfondibile tecnica ad una colonna sonora, come sempre, cucita su misura, il regista ci accompagna in una storia tesa ed avvincete, capace di mischiare generi diversi senza calarsi completamente in nessuno di essi. Il risultato è un cocktail in cui azione e thriller, orrore e satira, western e distopia si fondono regalandoci un’opera senza precedenti.
Dovremmo versare fiumi e fiumi di inchiostro per rendere davvero omaggio al capolavoro del maestro, ma non è questo il giorno. Magari potremmo deliziarvi con una recensione ad hoc, chi lo sa…