CG Entertainment ha distribuito una piccola perla: The Whispering Star, l’opera che Sono ha partorito con piú fatica e passione, un’opera a cui ha lavorato per quasi 25 anni.
Il nome di Sion Sono è ormai piuttosto noto tra gli appassionati di cinema. Artista a tutto tondo, si distingue anche per la propria produzione musicale, poetica e letteraria. La sua continua voglia di esplorare e sperimentare lo ha portato a spaziare tra i generi più differenti e a partorire ben sei pellicole solo nel 2015. Ed è tra queste sei che spicca The Whispering Star, opera tra le più riuscite del regista giapponese, che si discosta totalmente dal resto della sua lunga filmografia.
La storia è quella di Yoko, un androide che viaggia nella galassia al fine di consegnare pacchi ai terrestri, ormai in via d’estinzione, sparsi su vari pianeti. Facilmente intuibile, analizzando la trama, il riferimento al disastro di Fukushima avvenuto nel 2011. Difatti il film è girato in buona parte in quella zona e alcune delle comparse sono vittime della tragedia.
Ma The Whispering Star va oltre la metafora politica. Sono riflette sull’importanza dei ricordi in un mondo ormai giunto alla fine. Pur essendo fantascientifico, infatti, il film si concentra interamente sul passato. L’astronave sulla quale la donna viaggia ha le sembianze di una tipica casa giapponese, piuttosto umile. Indicativa anche l’idea di girare il film in bianco e nero. Il tempo gioca inevitabilmente un ruolo importante e Sono lo ricorda e lo sottolinea costruendo, sequenza per sequenza, un ritmo lento che, insieme alla quasi assenza di dialoghi e alla ripetività delle azioni, non può che far pensare al Béla Tarr de Il cavallo di Torino.
The Whispering Star è un film di desolante ed angosciante disumanità. Il regista nipponico delinea un’umanità patetica, per la quale si prova solo pena, legata ad oggetti materiali insignificanti che le ricordino il passato, a cui essa si dimostra molto legata. L’androide protagonista è, paradossalmente, l’unico a vantare caratteristiche umane, e dona un fragile senso all’esistenza insignificante e scialba dei terrestri. L’assenza di dialoghi lascia spazio ad ampi silenzi che, uniti a suggestivi campi totali immensi, trasmettono una sensazione di vuoto che non si dimentica facilmente.
Per contrastare la freddezza con la quale il film ci accoglie, Sono ci offre delle splendide sequenze accompagnate dalle note di Tombeau pour Mounsier De Lully di Marais.
Sono si concentra anche su un altro aspetto: quello della solitudine. Essa pesa, e il silenzio che le consegue risulta talmente assordante da indurre Yoko a ricercare letteralmente anche il più fastidioso dei rumori. Diversamente da ciò che si potrebbe pensare, la solitudine che il film mette in scena non è tanto quella della protagonista, quanto quella dell’intera razza umana. Gli oggetti consegnati dall’androide non sono altro che un momentaneo tappo di quella solitudine: quest’ultima scompare per far spazio ai ricordi, che accompagnano coloro che li hanno.
È ovviamente immancabile la tematica ambientalista, che appare perfettamente coerente con ciò che il film vuole comunicare. Sono ci avvisa, vuole farci comprendere che tutti siamo in potenziale pericolo e che tutti potremmo essere Fukushima. Spunta, quindi, l’ammirazione per la natura, particolarmente evidente nell’unica sequenza a colori del film, che inquadra una distesa erbosa molto ampia. D’altronde il cinema giapponese si è sempre dimostrato legato a questo tipo di tematiche: basti pensare ai grandi Ozu e Miyazaki, che hanno spesso fatto della natura, fulcro delle proprie produzioni.
Splendida la sequenza finale del film, palese omaggio alla nascita del cinema e perfettamente in linea con lo spirito di tutta la pellicola.
Il film attrae, dal punto di vista visivo, grazie al grande lavoro del direttore della fotografia Hideo Yamamoto, stretto collaboratore di Sono e Takashi Miike, che riesce perfettamente a trasmettere angoscia e desolazione attraverso un bianco e nero giallognolo, quasi sul seppia. Altrettanto riuscita e di grande impatto emotivo, la sequenza a colori. Ottima prova attoriale per la protagonista Megumi Kagurazaka, moglie di Sion Sono, presente in molti dei suoi film. L’attrice riesce a vestire alla perfezione i panni di un personaggio apatico ma allo stesso tempo tenero e sensibile. Altro punto a favore per il comparto sonoro, utilizzato in maniera decisamente poco ortodossa ma assolutamente geniale. La musica di Marais, infine, è semplicemente stupenda.
Con The Whispering Star, Sono dimostra ancora una volta la capacità di spaziare tra generi e stili differenti, regalandoci sempre pellicole di grande livello.
Il regista di Cold Fish ama sperimentare e rinnovarsi continuamente, e questo gli riserva un posto tra le personalità più eclettiche e geniali dell’attuale panorama cinematografico.
L’edizione di CG Entertainment è inoltre corredata da due interessanti interviste al regista. In una Sion Sono parla lungamente della realizzazione del film, la cui prima idea vide la luce nel 1990, quando il regista viveva in un piccolo monolocale, per poi trascinarla in grembo per quasi 25 anni in cerca di un’occasione per produrre quello che reputa uno dei suoi film piú autoriali e liberi. Alla fine Sono ha autoprodotto la pellicola e questa lunga attesa gli ha dato modo di unire all’anima del film quella che sostiene sia la sua nuova città: Fukushima. L’intervista si sofferma a lungo sul suo rapporto con la città del disastro nucleare e sulla sua scelta di ingaggiare alcune delle vittime del disastro come attori per The Whispering Star.
Tra i contenuti speciali si trova una seconda intervista nella quale Sion Sono approfondisce il suo giudizio sul cinema giapponese e sul problema dell’autorialità nel cinema moderno; pone l’accento sul suo desiderio di fuga dal paese e offre interessanti spunti riguardo altri autori suoi connazionali e non.