Da quel momento in poi il Male sembra seguire e impossessarsi di tutto ciò che circonda il prete, dove si susseguono le scene più impressionanti del film: gli sguardi vuoti e inespressivi della gente, i colpi di martello dei fabbri nei quali Merrin crede di sentire il cuore che batte incessantemente, un’orologio che improvvisamente si ferma, tutto ciò rende fisicamente percepibile il senso di minaccia fino al termine della sequenza dove il Padre si ritrova innanzi ad una statua del demonio ai cui piedi vediamo cani feroci sbranarsi l’uno contro l’altro. Ecco anticipato il senso dell’intera storia che secondo le parole del regista vuole essere:
“Una parabola del Cristianesimo, dell’eterna lotta tra il Bene e il Male”
L’azione si sposta, l’apertura in dissolvenza ci mostra il cartello col nome della città di Georgetown, una prospettiva aerea ci da un’illusoria impressione di ordine, secondo il regista “un mezzo per mettere lo spettatore su una falsa pista”. Padre Karras (Jason Miller), psicologo del seminario di Georgetown ammette di aver perso la fede, il Male aumenta la sua stretta. Così sullo schermo vediamo scorrere le immagini di una ragazzina dodicenne orribilmente sfigurata la cui innocenza viene predata e violata dal male, che urla oscenità e bestemmie con una voce strozzata e stridula, tanto da far venire la pelle d’oca, e infine i conati di vomito verdastro, mai prima di questo film un regista aveva tentato di spaventare e impressionare il pubblico con tanta determinazione. In effetti il desiderio irrefrenabile da parte del regista Friedkin di voler scioccare a tutti i costi impedisce di riconoscere l’elaborata trama di riferimenti, analogie e attriti inseriti da quest’ultimo.
Per capire appieno le ragioni della tragedia occorre osservare da vicino e notare l’arroganza dei medici, gli scatti d’ira di Chris MacNeil (Ellen Burstyn) e della figlia Regan (Linda Blair), l’alcolismo dell’amico Burke e il senso di colpa che assale Padre Karras per la morte della madre sono indicatori che rivelano le cause umane del dramma. Fa riflettere anche il fatto che il lavoro da psicologo all’interno di un seminario religioso renda dubbioso Karras sull’esistenza di Dio. O come il Padre che nella cappella trova la statua profanata, ma che una volta al suo interno non degna il minimo sguardo alla Madonna, segni di una perdita di fede. Con queste allusioni il regista differenzia i presupposti descritti all’inizio, l’inferno che si alimenta risiedendo nella normalità e in tutto ciò che è apparentemente familiare. Quindi infine possiamo dire che The Exorcist non racconta solo di una lotta contro il diavolo, che il prete infine sconfigge attraverso il sacrificio, ma bensì di una lotta interna contro se stessi.