Quando dietro a una ridondante melodia c’è un mondo.
All’interno dell’ormai ricca storia della canzone italiana esistono casi in cui un ascolto passivo e distratto di un brano può portare ad un fraintendimento del significato del testo o, ancor peggio, ad un disinteresse nei confronti di esso. A favorire questi errori sono a volte arrangiamenti contrastanti con il tema della canzone, altre volte passaggi del testo molto cantabili tanto da diventare veri e propri tormentoni fino ad oscurare il resto della canzone.
Uno dei casi più emblematici è stata la canzone Samarcanda di Roberto Vecchioni. Contenuta nell‘omonimo album del 1977, fu il primo grande successo del cantautore milanese grazie al ritmo incalzante, al famoso riff di violino eseguito da Angelo Branduardi e soprattutto al “oh, oh cavallo” del ritornello. Queste tre componenti diedero una connotazione giocosa alla canzone, in grado di far breccia anche sui bambini, ben lontana da quella reale.
Ma il fraintendimento nei confronti di questa canzone sembra sfociare del tutto durante un concerto di Roberto Vecchioni a Bologna in onore di Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua ucciso nel ’77. L’esecuzione di Samarcanda in quell’occasione venne fortemente contestata dal pubblico presente tanto da costringere Vecchioni ad abbandonare il palco.
Lecito a questo punto interrogarsi su cosa si nasconda dietro al testo di questa canzone.
Il verbo “nascondersi”, come vedremo, non è corretto: i versi di Vecchioni infatti, seppur decorati dalla retorica e dalla poetica della scrittura in forma canzone sono chiari e comprensibili nel loro vero e drammatico significato.
L’ispirazione per la composizione del testo proviene da una storia archetipica, presente in molte culture, ma in particolar modo da una favola orientale contenuta nell’incipit del romanzo Appuntamento a Samarra di John Henry O’Hara. E come ci suggeriscono titolo e l’arrangiamento del prologo e del riff iniziale ci catapultano proprio nel mondo di un lontano Oriente.
Ebbene nell’album in cui è contenuta, nella sua stessa traccia, Samarcanda è anticipata da un prologo, in cui una voce femminile accompagnata da percussioni ci introduce alla vicenda:
“C’era una grande festa nella capitale perché la guerra era finita. I soldati erano tornati tutti a casa e avevano gettato le divise. Per la strada si ballava e si beveva vino; i musicanti suonavano senza interruzione. Era primavera e le donne finalmente potevano, dopo tanti anni, riabbracciare i loro uomini. All’alba furono spenti i falò e fu proprio allora che tra la folla, per un momento, a un soldato parve di vedere una donna vestita di nero che lo guardava con occhi cattivi”
La guerra è finita, la morte è scongiurata, i soldati sono di nuovo a casa e si fa festa.
Improvvisamente però un soldato, protagonista della storia, vede tra la folla una donna vestita di nero. Tutto questo viene raccontato anche nella prima strofa cantata della canzone:
Ridere, ridere, ridere ancora, ora la guerra paura non fa brucian le divise dentro il fuoco la sera brucia nella gola vino a sazietà. Musica di tamburelli fino all’aurora il soldato che tutta la notte ballò vide tra la folla quella nera signora vide che guardava lui e si spaventò.
La “nera signora” è la personificazione della Morte, che il soldato credeva di aver scongiurato uscendo indenne dalla guerra appena conclusa. Egli la riconosce e decide di rivolgersi al sovrano chiedendo aiuto per fuggire a Samarcanda:
«Salvami, salvami, grande sovrano fammi fuggire, fuggire di qua alla parata lei mi stava vicino e mi guardava con malignità». «Dategli, dategli un animale figlio del lampo, degno di un re Presto, più presto perché possa scappare, dategli la bestia più veloce che c’è».
Il dialogo tra il sovrano ed il soldato anticipa l’ingresso in scena del noto cavallo, ben più affascinante di tutti gli altri versi alle orecchie della maggioranza.
«Corri cavallo, corri ti prego fino a Samarcanda io ti guiderò non ti fermare, vola ti prego corri come il vento che mi salverò.
Il violino che prima ci aveva introdotto nei ritmi danzanti e festanti, ora accompagna la fuga del soldato in sella al suo cavallo.
La nuova strofa ci passa velocemente in rassegna i paesaggi superati nella corsa fino all’arrivo a Samarcanda. Ma qui il soldato viene colto dalla triste sorpresa: la nera signora, la Morte è lì ad attenderlo. Al suo cospetto, questa volta esausto, si inchina e appare consegnarsi, non prima però di chiedere spiegazioni alla Morte stessa.
Fiumi, poi campi, poi l’alba era viola bianche le torri che infine toccò, ma c’era tra la folla quella nera signora e stanco di fuggire la sua testa chinò: «Eri fra la gente nella capitale so che mi guardavi con malignità son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale, son scappato via ma ti ritrovo qua»
Nella risposta della Morte c’è il significato sia della storia archetipica che della canzone:
«Sbagli t’inganni ti sbagli soldato io non ti guardavo con malignità era solamente uno sguardo stupito, cosa ci facevi l’altro ieri là? T’aspettavo qui per oggi a Samarcanda eri lontanissimo due giorni fa, ho temuto che per ascoltar la banda non facessi in tempo ad arrivare qua».
La Morte in verità lo aspettava a Samarcanda.
Il destino del soldato era già segnato e lui con la sua fuga, inconsapevolmente, non ha fatto altro che assecondarlo. Nel finale sembra esserci ancora spazio per la vana illusione del soldato che incoraggia per l’ultima volta il suo cavallo.
«Non è poi così lontano Samarcanda corri cavallo, corri di là ho cantato insieme a te tutta la notte corri come il vento che ci arriverà. Oh oh cavallo, o-oh cavallo, oh oh cavallo, o-oh cavallo, oh oh!»
Samarcanda è dunque una canzone che non solo parla di una morte, ma parla della fatalità della morte stessa, dell’immutabilità del destino già scritto e segnato.
Ed è questa drammaticità incompresa che segnò profondamente Vecchioni, che titubò sul proseguimento della sua carriera musicale, scosso dal successo inaspettato di una canzone ma soprattutto scoraggiato dalla disattenzione del pubblico. Alla base di questo turbamento va considerata senz’altro la seconda fonte di ispirazione, ben più toccante, per una canzone sull’inevitabilità della morte: come racconterà Vecchioni fu la morte del padre, che sembrava dovesse salvarsi dalla sua malattia, che lo spinse ad affrontare questa tematica.