5. La Passione di Cristo, Mel Gibson (2004)
Film che dividono il pubblico
Successo e flop. Capolavoro e passo falso. La separazione tra i concetti è una questione di film che dividono il pubblico. Eccone una lista aggiornata.
Posizione numero dodici di Metacritic.
Parlare della trama è superfluo. Gibson ha scelto un soggetto relativamente facile e di immediata comprensione, dedicandosi in maniera fin troppo scrupolosa sulla ricostruzione delle sofferenze fisiche passate da Cristo durante la crocifissione.
La divisione è stata immediata, su tutti i fronti, a causa dell’evidente tendenza splatter, e alcuni riferimenti poco sottili all’antisemitismo.
Ciò che ha condizionato maggiormente le recensioni, è stata la violenza. Gibson non si risparmia, esalta il dolore estraniando il religioso dal corporale. Viene decodificato come una sconsacrazione della Passione stessa, con rimandi alle tendenze ebraiche a favorire i propri interessi, a costo delle più efferate decisioni.
Il risultato è un film che richiede uno sforzo piuttosto evidente per terminarne la visione. Si prova una profonda compassione ed esasperazione per le sofferenze di Cristo, in quanto innocente fatto di carne ed ossa, e non come figlio di dio.
Che fosse intenzione di Gibson impietosirci in questo modo, il risultato dell’opera è qualcosa che va oltre il gusto estetico per il cinema: lo spettatore deve fare i conti col proprio stomaco e quanto la sua vista può sopportare.
La Passione di Cristo conduce tutti ad un unico punto che è va oltre la qualità della pellicola in sé: se Gesù doveva espiare delle colpe umane, e se davvero lo ha fatto in questo modo, ha pagato un pegno troppo alto per essere sostenuto da un singolo corpo umano.
Film che dividono il pubblico
Metacritic lo colloca nella posizione numero undici dei più controversi.
Tra i film che dividono il pubblico, The Wolf of Wall Street è stato un caso piuttosto emblematico. Rilasciato dopo un’estenuante attesa, a seguito di rumors su rumors accompagnate da parole come “colossal”, “epico”, “manifesto”, “Oscar assicurato”, “il ritorno di Scorsese”.
In realtà la pellicola sembra una rappresentazione piuttosto esorbitante dei capisaldi narrativi su cui si basa la filmografia di Scorsese. Soldi facili, raggiri, droga, sesso, lusso, crimini, FBI, ancora droga, ancora soldi, e musica italiana piazzata quà e là a far da contorno.
Alcuni degli spettatori più attenti videro una specie di istinto di morte di Scorsese stesso. Abbiamo di fronte un film contenente un frullato non sempre omogeneo delle sue peculiarità, portate a dei livelli di esagerazione fuori dal comune.
Il risultato, a prima vista, è quasi insopportabile, si fatica a finire il film, ed è servito un bel po’ di tempo per abituarsi alle meraviglie in esso contenute.
La storia è quella di Jordan Belfort, talento incontrollabile delle bolle speculative, che farà di tutto pur di mantenere uno status sociale all’altezza dei suoi vizi, dei suoi raggiri, e del lusso sfrenato in cui vivono lui, la moglie e il suo migliore amico e collaboratore.
Sembra la rappresentazione dell’eccesso senza sostanza. In effetti l’opera ne è un esempio lampante, pieno di concetti che riescono a spiegare, rappresentare e approfondire il nulla più assoluto. Risulta essere un Grande Gatsby al contrario, o forse solo più aggiornato.
Eppure, a quasi cinque anni dall’uscita, The Wolf of Wall Street è già un cult pieno di stereotipi entrati nell’immaginario collettivo. Complici Scorsese, l’inossidabile Schoonmaker, un DiCaprio alla sua miglior performance, e un McConaughey a minutaggio ridotto, ma ad effetto immediato.