Eravamo presenti al primo dei quattro appuntamenti romani (27-28-29-30 dicembre) per il trio composto da Daniele Silvestri, Carmen Consoli e Max Gazzè. E ne è valsa la pena.
I tre cantautori hanno regalato uno spettacolo unico e diverso all’Auditorium Parco Della Musica rispetto al loro primo concerto insieme tenuto al Collisioni Festival in estate. La formazione sul palco era a cinque elementi di cui i tre protagonisti erano pare attiva: Silvestri si alterna tra tastiere e chitarra, Carmen Consoli alle chitarre e Max Gazzè al basso. A completare la band percussioni e fiati (tromba, trombone e corno).
A questa formazione va il primo elogio strettamente musicale: i loro migliori brani sono stati riproposti con arrangiamenti nuovi, più leggeri, spesso acustici ma mai scarni, a volte persino più ritmati. Sintomo di un lavoro dietro non indifferente e di una grande coscienza musicale confermata dalle ottime performance dei tre artisti con i rispettivi strumenti.
Il trio sembra amalgamarsi perfettamente: il susseguirsi dei brani in scaletta appare lontana dalla rigidità di un’equa divisione ed alternanza. Così come gli interventi canori sulle canzoni: i duetti risultano anch’essi naturali o forzati, eseguiti solo nei punti dove la voce di uno dei tre poteva dare effettivamente un contributo nuovo alla canzone. Del resto in ogni canzone c’è già l’intervento costante strumentale di tutti e tre.
Ma l’amalgama non funziona solo dal punto di vista musicale.
Nelle loro diversità il trio riesce a portare avanti uno spettacolo ricco anche di momenti di intrattenimento. E’ Silvestri, il più istrionico, quello che sembra avere maggior confidenza con il palco e con la dimensione di spettacolo extra musicale, a dare il via alle parentesi comiche.
All’inizio inscenando una telefonata con un ritardatario e distratto Gazzè che non sapeva dell’aggiunta di questa prima data; nel mezzo con la lunga ma piacevolissima parentesi dedicata alla parodia di X Factor, in cui i tre si sono alternati nel ruolo di giudici (con tanto di scrivania) e di concorrenti aspiranti cantanti, sfruttando anche la circolarità dei posti a sedere del pubblico dell’auditorium.
Silvestri, Consoli e Gazzè per la musica d’autore.
Tra una battuta e l’altra non poche le critiche lanciate ai talent show: la ricerca costante di un certo tipo di cantante, con quel tipo di look, il cantare in italiano ma con un inflessione americana (di cui Carmen Consoli ha regalato un’efficace imitazione), i soliti commenti dei giudici. Ma soprattutto la loro ammissione: “se avessimo cominciato in questi anni saremmo sicuramente dovuti passare per i talent ma ci avrebbero cacciato subito”. Un’ammissione ma anche la consapevolezza che questo non sarebbe un bene e che i talent portano ad un appiattimento ed una minor varietà degli artisti.
Ma Silvestri dà il via anche involontariamente ad altri momenti comici (in verità drammatici da musicista): la rottura del pedale della sua tastiera durante l’esecuzione del primo pezzo dà inizio al tormentone della serata che sguinzaglia Gazzè che a più riprese tornerà a scherzare sul fatto incontrando l’autoironia di Silvestri ma anche di Carmen Consoli, che senza mancare di ironia, con la sua figura sembra riportare compostezza al piacevole disordine creato dai due colleghi.
A fine serata si conteranno due ore e mezza di concerto ed una trentina di brani in scaletta, che ci hanno accompagnato negli ultimi vent’anni.
Carmen Consoli ci ricorda le canzoni dei suoi esordi e dei suoi primi successi da giovanissima tra Amore di Plastica, L’ultimo Bacio o Parole Di Burro, fino alla sua maturità fatta di canzoni toccanti come Mandaci Una Cartolina.
Silvestri si muove tra i classici del suo repertorio, da Le Cose Che Abbiamo In Comune a Occhi Da Orientale a Salirò, passando per le meno note ma bellissime Autostrada e Strade Di Francia, fino alle immancabili dei suoi concerti come Testardo e Cohiba.
Gazzè invece è probabilmente quello che fa ballare di più, soprattutto nel finale con i suoi più recenti successi: Sotto Casa e La Vita Com’è. C’è spazio verso il finale anche per una esecuzione della canzone Stranizza D’Amuri di Franco Battiato.
Una strana e perfetta fusione quindi.
Ripensando a cosa si è visto, contrariamente a quanto ci si potrebbe immaginare leggendo sul cartellone tre cognomi di tre artisti da sempre solisti, si dirà di aver assistito al concerto di una vera e propria band con tre cantanti interscambiabili. E ci si accorgerà anche che tra canzoni, tempi lunghi, momenti comici ed ironia abbiamo assistito a qualcosa che appartiene ad un’altra generazione di artisti, formatasi negli anni ’90 ma per nostra fortuna attiva probabilmente ancora per molto, ad un modo di coniugare musica e spettacolo semplice, vero e non colossale che con i sopracitati talent e le nuove tendenze rischiamo di perdere.