La scorsa settimana vi abbiamo parlato di Volcano del 2011, esordio bomba del regista islandese Rúnar Rúnarsson. Ma la consacrazione come una tra le più grandi promesse del cinema indipendente mondiale arriva nel 2015 con Passeri(Þrestir).
Passeri è un film semplicemente perfetto, un instant masterpiece, una delle pellicole di genere coming-of-age più intense e delicate mai realizzate, degno di insediarsi al fianco delle opere di Bogdanovich, Fellini e Linklater. Un film che ti entra prepotentemente dentro dalla bocca, ti afferra energicamente le corde delle emozioni e le tira fino quasi a strapparle.
Ari è un ragazzo di 16 anni, che a seguito del trasferimento della madre dovuto al suo lavoro è costretto a lasciare Reykjavík e a tornare a vivere dal padre nel piccolo paese in cui ha trascorso l’infanzia. Gunnar, il padre, è l’incarnazione materiale del fallimento. La sua vita consiste nel proprio modesto lavoro, non specificato, e nei continui festini, tenuti in casa sua con amici debosciati, dai quali esce sempre ubriaco. Non possiede alcuna capacità relazionale con il figlio, che non ha visto negli ultimi sei anni, e il muro comunicazionale che li divide è spessissimo. Le uniche fonti di calore per Ari sono rappresentate dall’amorevole nonna paterna, molto critica nei confronti della condotta genitoriale del figlio, dall’amico d’infanzia Bassi e da Lára, un’altra amica che sembra riservargli particolari attenzioni, pur essendo fidanzata con un bullo.
Il regista ci mostra il lato sporco delle piccole città disseminate sulle pendici delle sconfinate catene montuose islandesi, proponendoci degli aspetti sociali che vanno in controtendenza con l’idea che molte persone hanno di quel tipo di ambiente, immerso nel gelo e nel silenzio. Quella islandese è una società semisconosciuta a una gran parte della popolazione mondiale, data la pochissima copertura mediatica di cui gode, e guardare da vicino i suoi vizi e le sue attività rappresenta un motivo di interesse oltre che artistico anche mondano.
Questo ambiente ci viene mostrato attraverso gli occhi di una persona che sta affrontando il periodo più emotivamente complesso della sua vita, senza riuscire ad entrare in sintonia con esso. Ari, disorientato dalla cattiveria che circola tra i suoi coetanei e dalla perdizione spirituale che affligge il mondo degli adulti, cerca ovunque una fonte d’affetto vera, incondizionata, che possa rappresentare per lui una stabilità; in parte questa è rappresentata dalla sua minuscola cerchia di amici, ma forse, la cosa più vicina all’affetto che disperatamente sta cercando, può trovarla solo nello sciagurato padre. Quest’ultimo, pur non avendo la minima idea di cosa fare per rapportarsi al figlio, prova a guadagnarsi la sua stima tramite gli unici, semplici, genuini modi che conosce, preferibilmente non verbali.
La trama del film, specialmente verso il finale, è intrisa di passaggi che assumono un’importante valenza metaforica sui rapporti umani e sulla soglia sottilissima che separa l’età dell’innocenza dalla vita adulta.
Ma è la regia la grande protagonista del film.
PASSERI LA RECENSIONE – Se la regia di Volcano era ottima, quella di Passeriè definitiva. Il regista sceglie di adottare i tempi della vita reale, evitando ogni sorta di accorciamento o semplificazione nelle dinamiche umane che il cinema mainstream impone per motivi di ritmo e convenienza. Rúnarsson fa una scommessa pericolosa ma completamente vinta. A lasciare a bocca aperta è l’enorme impatto visivo dei campi lunghi e lunghissimi ripresi dal regista, aiutati in questo dalla bellezza mozzafiato dei paesaggi naturali islandesi, padroneggiati da infiniti scorci di cielo che occupano spesso due terzi dell’inquadratura.
C’è uno strabiliante senso dell’equilibrio estetico da parte del regista, che nelle inquadrature ambientali ricorda vagamente il cinema di Wes Anderson: ogni sequenza trova il modo più chiaro ed esteticamente pregevole di inserire i suoi occupanti nel contesto ambientale, facendo quasi respirare allo spettatore l’aria del Paese che vuole raccontare.
La fotografia fa affidamento quasi esclusivamente alle luci naturali.
PASSERI LA RECENSIONE – Negli interni, rappresentati in gran parte dalla casa paterna di Ari, il regista si muove con scioltezza tra tutti i tipi di inquadrature che spaziano dai campi totali ai primi piani, sfruttando ogni angolo dell’ambiente per ricercare angolazioni che meglio possano confarsi al peso del racconto. Nei campi totali prevale una geometria delle immagini caratterizzata spesso da inquadrature statiche e bilaterali, composte da un personaggio e da una parte di ambiente proveniente da un’altra stanza affollata di persone; i due distinti comparti ambientali vengono accostati da sapienti giochi di specchi ed angolazioni.
In particolare, il regista raggiunge l’apice di questa straordinaria mestieranza durante una scena di sesso, nella quale per mezzo di uno specchio sul muro viene mostrato vagamente cosa sta accadendo, per concentrare completamente il fuoco sul volto del protagonista e su quello che sta provando secondo dopo secondo. Altre inquadrature interessanti sono quelle effettuate sul protagonista con camera a muro, incedendo lentamente verso di lui. L’eccezionale espressività degli interpreti viene valorizzata al massimo dai lunghissimi primi piani, i quali fungono da mezzo per la lettura psicologica dei personaggi e donano intensità ed empatia ad ogni secondo trascorso ad ammirare il loro specchio emozionale. In questo, l’ispirazione bergmaniana è palese.
Ciò che rende spesso il cinema indipendente la fonte più affidabile di pura arte cinematografica è sicuramente la totale assenza di divi tra i propri interpreti.
Sono film che hanno come unico obiettivo quello di raccontare storie di persone ordinarie, studiare i loro punti di vista, i loro legami e il loro rapporto con la società che li circonda. E’ il modo più efficace affinché il pubblico entri in contatto con la vena artistica del regista, che questi imprime a fuoco nel film per condividerla col mondo.
La colonna sonora è curata da Kjartan Sveinsson, ex-membro del famoso gruppo sperimentale islandese Sigur Rós, che con le sue inconfondibili e risonanti note conferisce al film una carica emozionale immensa. Sono inoltre presenti melodie dai toni eterei eseguite diegeticamente dallo stesso protagonista.
Passeri è un film stupendo, poetico, indimenticabile, che porta il genere coming-of-age a nuove vette. Appaga l’occhio, induce a profonde riflessioni sul significato di affetto e solitudine e mostra immagini di grande impatto che si legano immediatamente alla memoria dello spettatore. Cercatelo, guardatelo, amatelo, perchè questo film è una perla rara che merita di essere scoperta. Con questo, Rúnar Rúnarsson si qualifica comeun autore contemporaneo dalla visione del mondo e del cinema estremamente personale ed ammaliante, che meriterebbe sicuramente più visibilità a livello mondiale e non andrebbe assolutamente perso d’occhio.