Loveless di Andrej Zvjagincev – La recensione

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Loveless di Andrej Zvjagincev si è aggiudicato il Premio della giuria del 70° festival di Cannes.

Dopo aver ottenuto un discreto successo nel 2014 grazie al film Leviathan, il regista dal cognome impronunciabile torna a scuotere l’animo del pubblico con un dramma crudo e freddo.

Boris e Zenja sono sulla via del divorzio. La loro separazione è, però, tutt’altro che pacifica. I due, dopo diversi anni di forzato matrimonio, sono arrivati ad odiarsi reciprocamente. Distratti dai rispettivi amanti e da frivoli impegni giornalieri, si rendono conto, in ritardo, della sparizione del figlio Alyosha.

Dietro il nome di Andrej Zvjagincev si nasconde quello sontuoso di un altro Andrej. Il 53enne regista russo, infatti, presenta uno stile palesemente ispirato a quello di Tarkovskij motivo per cui viene spesso accusato di manierismo e, di conseguenza, di scarsa originalità. C’è da dire che quella di ispirarsi a una colonna portante della storia del cinema come Tarkovskij, è un’idea audace, poiché viene naturale confrontare due opere dai molteplici elementi affini. Tuttavia, in Loveless il regista russo riesce a prendere la propria strada, pur mostrandosi riconoscente verso il Maestro.

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In collaborazione con Oleg Negin, Zvjagincev delinea personaggi inumani, privi di sentimenti puri e genuini. I rapporti tra i due protagonisti e i rispettivi amanti nascondono un egoismo di fondo che sopprime ogni possibilità di nascita di un amore, o, quantomeno, di un sentimento reciproco simile ad esso. Freddezza, lontananza e, quasi imbarazzo. È solo nel sesso che entra in gioco il contatto fisico, ma anche questo viene concepito in maniera egoistica; non lo si vive insieme, esso diventa una sorta di scambio equo. Difatti viene ripreso sempre da lontano, mai primi piani o dettagli durante l’atto. Questo distacco, reso ancora più netto dall’utilizzo ossessivo dei cellulari e computer, non risulta meno pesante del rapporto violento e distruttivo della coppia sull’orlo del divorzio. Un rapporto che rievoca, in parte, quello di Isabelle Adjani e Sam Neill in Possession di Andrzej Zulawski

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Il bambino protagonista della prima parte rappresenta, per i due adulti, soltanto un ostacolo. Entrambi hanno progetti per il futuro: Boris è fidanzato con una donna incinta di lui e Zenja con un uomo maturo e benestante, già padre. Entrambi vorrebbero solo che Alyosha non fosse mai nato e non appartenesse alle loro vite. Zvjagincev li accontenta, facendo scomparire il pargolo. Rapimento o semplice fuga? Non è questo quello che il regista è interessato a mostrarci. Il cineasta russo decide di focalizzarsi su un paradosso: dopo la scomparsa, la presenza di Alyosha si fa più ingombrante che mai. Da elemento insignificante, il figlio diventa il centro delle vite dei due genitori. Questa sorta di legge del contrappasso mette in crisi le relazioni con gli amanti, che diventano sempre più fragili.

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Loveless offre una visione pessimista del rapporto di coppia.

Quella di “ricominciare da zero” è soltanto un’illusione. L’amante della donna è un uomo divorziato, taciturno, che si addormenta dopo l’atto sessuale; apparendo, quindi, sorprendentemente simile a Boris. Allo stesso modo, la nuova amante di Boris presenta caratteristiche riscontrabili anche in Zenja (prematuramente incinta e con un rapporto burrascoso con la madre). Il raggiungimento di una totale serenità di coppia è, quindi, impossibile secondo Zvjagincev. In effetti, il film non lascia vie di scampo, nessuno spiraglio di luce.

Ma dov’è Tarkovskij, in tutto ciò?

È nelle ambientazioni, piccoli mondi a sé, che nascondono significati particolari; nell’uso sapiente e significativo delle precipitazioni, piovose prima e nevose poi; nella celata critica alla patria, che trascura il popolo in nome dei propri interessi (intuibile grazie alla scritta “Russia” sulla felpa della donna); in alcune immagini, omaggi palesi a inquadrature del Maestro (una, particolarmente evidente, era stata già omaggiata da Lars Von Trier in Antichrist, di cui trovate una recensione qui). Le lunghe inquadrature fisse dei paesaggi richiamano in particolare pellicole come Andrej Rublëv e Stalker; sentiti omaggi al regista che Zvjagincev considera la sua personalissima guida artistica.

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Grande lavoro dei due attori protagonisti Mar’jana Spivak e Aleksey Rozin, che riescono a dar vita a due personaggi dalle numerose sfaccettature, diversi ma accomunati da sentimenti di rabbia e rancore.

I loro volti vengono resi ancora più profondi da una fotografia perfetta, curata da Michail Kričman, per la quale si è aggiudicato il premio dell’European Film Awards. Essa alterna continuamente colori scuri e accesi, passando spesso improvvisamente dagli uni agli altri.

Loveless presenta molti elementi affascinanti e interessanti, gestiti in maniera sapiente ed equilibrata. Tra questi, risalta la colonna sonora, scritta da Evgenij Gal’perine e Saša Galperin, e vincitrice del premio, nella sua categoria, all’European Film Awards. Risulta perfetta per le immagini e la storia che accompagna ma, allo stesso tempo, vive di vita propria. Il tema principale è composto da pochissime note eseguite da un pianoforte preparato; un brano intenso, che colpisce, violentemente, ad ogni singola nota.

Loveless è un gran film. Una pellicola che ci si porta dentro anche parecchi giorni dopo la visione. Quella di Zvjagintsev è un’operazione portata a termine in maniera egregia e diretta.

 

 

RECENSIONE
Giudizio finale
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Pierpaolo Zenni
19 anni, studente in conservatorio. Coltivo la passione per il cinema da quando Kubrick mi portò a visitare l'Overlook Hotel. Ho gusti piuttosto vari, ma in particolare adoro Tarkovskij, Bergman e René Ferretti.
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