La Scimmia vi propone oggi The Imitation Game (stasera alle 21:10 su Rai Movie), il film del 2014 diretto dal norvegese Morten Tyldum con protagonista Benedict Cumberbatch nei panni del matematico e crittoanalista Alan Turing.
The Imitation Game è l’adattamento cinematografico della biografia Alan Turing: The Enigma, pubblicata dopo l’uscita del film e scritta da Andrew Hodges. La pellicola, che ebbe un enorme successo internazionale e incassò oltre 140 milioni di dollari al botteghino, si presentò agli Oscar del 2015 con ben 8 candidature e valse il premio alla Migliore sceneggiatura non originale a Graham Moore.
Nel film Tyldum racconta la vera storia del matematico britannico che decrittò il codice nazista Enigma, durante il suo ingaggio nella Seconda Guerra Mondiale.
Una missione segreta del governo inglese composta da un piccolo ed eccezionale gruppo di linguisti e criptografi. Il titolo fa riferimento ad un libro mai scritto da Turing, in cui si sarebbero teorizzate affinità e differenze tra il pensiero umano e quello della macchina, ma può anche riferirsi a quell’unico gioco che vide Turing sconfitto: il camuffamento sociale che avrebbe potuto salvargli la vita.
Inverno 1952, le autorità inglesi irrompono nella casa del matematico, logico e criptoanalista Alan Turing.
Recatisi sul posto per indagare su una segnalazione di furto, ma finendo con l’accusarlo di “atti osceni” e successivamente condannarlo per il reato di omosessualità. La polizia ignorava che quel brillante matematico fosse non solo un eroe di guerra, ma al contempo il pioniere di quella che sarebbe un giorno diventata l’informatica.
Matematico, logico e omosessuale, come se ciò andasse menzionato tra le sue qualifiche, Turing fu la chiave di volta per la soluzione di Enigma grazie alla progettazione di una macchina in grado di svelare le impostazioni naziste.
Il primo mistero del film è infatti quello della macchina che consentiva ai tedeschi di comunicare indisturbati tramite codici cambiati ogni ventiquattrore. un codice apparentemente irrisolvibile con possibilità nell’ordine di 159,000,000,000,000,000,000. E se ad un uomo era impossibile decifrare una macchina (o anche solo leggere per intero le possibilità che aveva di farlo), solamente un uomo come Turing avrebbe potuto intuire che ne fosse necessaria una seconda per sconfiggerla.
Secondo gli storici la decrittazione, che fece pendere le sorti del conflitto a favore degli Alleati, accorciò la guerra di ameno due anni, contribuendo a salvare la vita di quattordici milioni di persone; Turing fu ringraziato dal governo inglese condannando la sua.
Nel 1952 veniva infatti incriminato per omosessualità e posto davanti ad un drammatico bivio: il carcere o la castrazione chimica. Scelta la via degli estrogeni, nel 1954, Turing, all’età di 41 anni, venne ritrovato morto a causa di una mela avvelenata nel suo appartamento.
Dopo il tardivo mea culpa dell’Inghilterra del 2009 con le scuse di Gordon Brown e la grazia postuma concessa dalla regina nel 2013 anche a seguito della mozione di scienziati come Stephen Hawking, il film dona il suo contributo ad un genio unico e sfuggente. Tra ammirazione e compassione si assiste così al delinearsi di un uomo tanto intellettualmente dotato, quanto solo e diverso dagli altri; ma soprattutto condannato per questo.
Per cogliere la sua straordinaria figura Tyldum articola tre momenti temporali che spezzano la tradizionale linearità del genere biopic. Dal suo primo interrogatorio a Manchester nel 1952, vediamo il quindicenne Alan come schivo e emarginato studente della prestigiosa Sherborne School nel Dorset del 1927, dove ebbe modo di conoscere quello che sarebbe stato il simbolo dell’amore nella sua vita, Christopher. Un amore tanto grande da dare il suo nome alla salvifica macchina del periodo bellico (almeno nel film).
In questo secondo tempo vediamo infatti il matematico prendere parte all’equipe di critto-analisti al Bletchley Park di Buckinghamshire, il principale centro di crittoanalisi del Regno Unito.
Tre momenti fondanti nella vita di Alan Turing uniti dal filo rosso di un destino unico ma infelice.
L’enigmatico volto di Benedict Cumberbatch definisce con accuratezza i tratti (molto accentuati rispetto alla realtà storica) di un Turing estraneo agli altri, che si definisce e consuma a partire da un’incolmabile distanza dagli altri uomini. Inizialmente rivendicata con lo sdegno orgoglioso tipico dei geni verso le persone comuni, poi dolorosamente camuffata per sopravvivere tra quelle stesse persone comuni e pericolosamente ottuse. Fingere di essere qualcosa di diverso da ciò che sentiva è stato un peso troppo grande per il matematico, ma non è solo del suo orientamento sessuale che si parla; già scansato e deriso da giovane perchè diverso, la maschera che Turing indossò fu allora il suo scudo per scusarsi di quel che era e combattere allo stesso tempo per affermarlo. Il secondo mistero del film è dunque l’Alan Turing in grado di decifrare il linguaggio del più grande enigma della storia mondiale e che pure era avulso da quello umano.
Il genio implica anche la solitudine? La massa è nemica dell’intelligenza? O erano solo i tempi a non essere pronti per lui? E se così fosse, lo sarebbero ora?
Lo straordinario Benedict Cumberbatch riesce ad omaggiare ed impreziosire la figura del genio incompreso con la sua andatura goffa e lo sguardo impaurito ma al contempo beffardo che riserva al prossimo; creando un personaggio indimenticabile come ha già fatto nella serie tv Sherlock e nel film La Talpa e guadagnandosi una nomination agli Oscar del 2015.
All’ambita statuetta ha concorso anche Keira Knightley, come migliore attrice non protagonista, nel ruolo della brillante, ma messa da parte, Joan Clark, che porta avanti una non-relazione amorosa con Turing. La sua pietrificante eleganza interrompe il fallocentrismo della storia, che non avrebbe fatto spazio ad una figura femminile se non attribuendole il ruolo di simbolo sociale. Nel cast anche Matthew Goode (Match Point), bravissimo nel ruolo del due volte campione mondiale di scacchi Hugh Alexander.
Scrivere un film su Alan Turing non era affato semplice, in virtù della complessità di temi che la sua vita involve; da quello sociale a quello storico, da quello tecnologico a quello umano, la sua biografia non è resa un argomento avvicinabile da chiunque.
A spianare la strada al regista è senz’altro occorsa quella scritta da Andrew HodgesAlan Turing: The Enigma che tuttavia getta l’ombra del complotto nazionale sulla morte del matematico.
Tutt’altro tono conferisce invece Tyldum al film. The Imitation Gameè la storia di un uomo vittima e al contempo eroe del suo tempo, ma è anche un film elegante, profondo, molto europeo, nel suo essere metà norvegese e metà inglese e che non avrebbe probabilmente raggiunto tanta raffinatezza se posto nelle mani del cinema americano.
La trama riesce a toccare temi scomodi ma attuali come l’omosessualità, che fu abolita come reato dalla open-minded Inghilterra solo nel 1967 (l’Italia, paradossalmente, lo fece nel 1887, salvo poi perseguitare le minoranze con l’avvento del fascismo); il movimento femminista e l’inedito rapporto che si fa strada tra l’uomo e la macchina, destinato a cambiare gli stessi rapporti umani.
Un grande omaggio filmico ad un personaggio straordinario, capace di donare forza e intensità alla sua figura, rivendicandone con orgoglio l’identità che il vero Turing fu costretto ad abiurare.