Andrej Rublev è l’opera più matura e sentita di Andreij Tarkovskij.
Andrej Rublev è il secondo lungometraggio del grande cineasta russo, l’opera che rispecchia alla perfezione il suo modo di concepire l’arte. Secondo quanto esposto nel saggio Scolpire il tempo, l’arte è, per Tarkovskij, una continua ricerca della verità, del senso della vita. La produzione artistica, quindi, non è che un dilemma che l’artista si pone e al quale cerca di rispondere; questa risposta non sarà il prodotto di studi e conoscenze, come nel campo scientifico, ma di un livello spirituale che solo gli artisti posseggono, ed è questo a renderla universalmente accessibile (d’altronde, l’arte, vive grazie alle persone. Senza di esse non avrebbe motivo di esistere). In questo senso, “l’artista che non ha fede assomiglia a un pittore cieco dalla nascita“: non si tratta di fede religiosa, bensì di fede nella vocazione artistica, quella fede capace di innalzare il valore spirituale.
Introdotto da un singolare prologo che non ha niente a che vedere con la storia del film, Andrej Rublev abbraccia più di vent’anni di storia della Russia del XV secolo, sconvolta dalle lotte tra principi rivali e, soprattutto, dalle assidue invasioni dei Tartari. Si tratta di un’opera mastodontica, suddivisa in dieci capitoli e dalla durata di 206 minuti. Il protagonista è Andrej Rublev, pittore russo, considerato il più grande pittore di icone, e venerato come santo dalla Chiesa ortodossa.
Il suo personaggio, interpretato dall’attore Anatolij Solonicyn, occupa tre diverse posizioni all’interno della storia: nei primi capitoli, risulta quasi assente, come fosse solo una comparsa, e mantiene il suo status di protagonista perché viene continuamente nominato; nella seconda parte, assume un ruolo centrale, la storia gira interamente attorno a lui, ai suoi pensieri e ai suoi turbamenti; negli ultimi capitoli, Rublev agisce da silenzioso scrutatore, lo spettatore non entra più in contatto con le sue idee ma può solo intuirle.
Andrej Rublëv è un personaggio di grande spessore, difficilmente dimenticabile.
I suoi tormenti, le sue riflessioni e le sue conversazioni col maestro Teofane il Greco, spingono ad identificare nella figura del pittore, quella di Tarkovskij. Rublëv conosce la grande potenza comunicatrice dell’arte, e si sente in difficoltà nel momento in cui gli viene commissionato un affresco che ritrae il giudizio universale, in quanto si rifiuta di utilizzare lo strumento artistico per spaventare coloro a cui l’opera è indirizzata, ovvero gli uomini.
Tarkovskij utilizza la macchina da presa per esprimere anche un altro concetto, di nuovo legato all’artista e alla sua creazione: il “timore di Dio“, traducibile come la necessità di possedere una semplicità d’animo e abbandonare arroganza e saccenza. Indicativo il prologo, che palesa una morale simile a quella della Torre di Babele. Da questo punto di vista, la poetica tarkovskijana è riconducibile a quella de Il fanciullino di Giovanni Pascoli. Il regista russo sostiene infatti che l’artista debba essere puro d’animo e possedere un lato irrazionale capace di portarlo a comprendere il mondo nella sua essenza. Questa ricerca della verità, attraverso uno spirito irrazionale, entra in forte contrasto con la ricerca scientifica, che in quegli anni andava via via sviluppandosi (ricordiamo che lo sbarco sulla Luna avvenne soltanto tre anni dopo l’uscita di questo film.
Nel film l’arte ha anche un altro fine: quello di schiacciare idealmente la violenza dell’uomo. Tarkovskij dà grande importanza alla solidarietà tra i cittadini, in un periodo caratterizzato da soprusi e violenze da parte del potere. Ciò è riscontrabile, in particolare, nel capitolo “La campana”. Le autorità sovietiche ne tardarono l’uscita in quanto vi lessero una metafora della società russa del tempo. Il film fu coinvolto in numerose controversie, in quanto un cavallo, destinato al macello, fu realmente ucciso sul set.
Visivamente il film è perfetto. Tarkovskij riprende la bellezza nel senso più artistico del termine, grazie ad ampie panoramiche e vari primi piani d’incredibile impatto. Tutto ciò entra in contrasto con un bianco e nero freddo e distaccato, abbandonato solo nell’epilogo, che mostra, a colori, varie opere di Rublëv.
Grande lavoro del compositore Ovcinnikov, che compone una colonna sonora degna di nota, capace di accompagnare alla perfezione le immagini e i vari momenti. Ottima prova per i vari attori, in particolare Solonicyn, sconosciuto attore di teatro dalla grande intensità espressiva che lavorerà con Tarkovskij anche in Stalkere Lo specchio.
Andrej Rublëvè tra i film più belli della storia del cinema. Un’opera enorme capace di far discutere, riflettere e su cui si può dibattere all’infinito. D’altronde, nel cinema di Tarkovskij lo spettatore assume un ruolo attivo, smette di ricevere semplici informazioni audiovisive e viaggia attraverso le metafore, dalle mille interpretazioni, che esso ci offre.