« ..mi aveva proposto di lavorare insieme dopo avermi conosciuto in un locale di Roma, il Folkstudio. Passammo quasi un mese da soli nella sua bellissima casa in Gallura, davanti ad una spiaggia meravigliosa dove peraltro credo che non mettemmo mai piede: in quel periodo avevamo tutti e due delle storie sentimentali assai burrascose ed era più o meno inverno. Fabrizio beveva e fumava tantissimo e io gli stavo dietro con un certo successo. Giocavamo a scacchi, a poker in due: ogni tanto prendevo il suo motorino e me ne andavo in giro per chilometri. Al mio ritorno spesso lo trovavo appena alzato che girava per casa con la sigaretta e il bicchiere e la chitarra in mano e che aveva buttato giù degli appunti, degli accordi.Era uno strano modo di lavorare il nostro: non ci siamo mai messi seduti a dire «Adesso scriviamo questa canzone». Semplicemente integravamo e correggevamo l’uno gli appunti dell’altro, certe volte senza nemmeno parlarne, senza nemmeno incontrarci magari, perché lui dormiva di giorno e lavorava di notte e io viceversa.Le musiche ci venivano abbastanza facilmente – Fabrizio era un eccezionale musicista – e le registravamo su un piccolo registratore a pile. Così vennero fuori La cattiva strada, Canzone per l’estate, Oceano… »(Francesco De Gregori, 1975)
Concepito giusto subito dopo la stagione dei concept album, intervallato dall’album raccolta/cover Canzoni,Volume 8, si pone come una svolta nella carriera musicale di Fabrizio De André.
Figlio della stroncatura di Storia di un impiegato – persino contestualizzata risulta un’opinione magra e poco lungimirante – l’album esula da visioni politico-sociali, escludendo Le Storie di Ieri peraltro firmata da De Gregori, per abbracciare più autenticamente la sfera emotiva privata del cantautore genovese.
E’ questo l’album in cui probabilmente si mette più a nudo. Pezzi come Canzone per l’Estate e, soprattutto, Amico Fragile rendono senza giri di parole eccessivamente delicati il malcontento vissuto da De André in quegli anni.
Ormai indiscussa stella della scena cantautorale italiana, egli raccoglie e percepisce le contraddizioni e lo svilimento della vita borghese, per utilizzare un termine ormai desueto ma ai tempi calzante. Desueto perché ormai siamo tutti borghesi, sia chiaro.
La cultura, perlomeno dalle classi più agiate, vista come puro divertissement, frivola ed infruttuosa. Nozioni da sciorinare per mettersi in mostra e non pioli da aggiungere alla scala della conoscenza. L’artista ridotto esclusivamente al bello, inutile, e perciò alienato. Non isolato, alienato. Privato della sua immagine di uomo cosciente e vivente per donargli la veste di prodotto di cui godere superficialmente.
In questo scenario, coadiuvato dalla torbida vita sentimentale di cui riferiva in apertura Francesco De Gregori, si installano le tracce dell’album.
Turbato e deluso esplora la propria sfera emotiva ed il suo ruolo nel mondo e lascia emergere con foga ed estrema chiarezza la direzione ostinata e contraria, summa del suo intero percorso artistico.
Manifesto di questa ostinata singolarità è la traccia d’apertura dell’album, La Cattiva Strada.
Figlia musicalmente e stilisticamente di uno storico brano di Bob Dylan, Desolation Row, se ne vede chiaramente l’influenza nell’omissione di un vero e proprio ritornello in favore di una chiusura di strofa richiamante il titolo della canzone. La via della desolazione che accompagnava ogni storia del menestrello di Duluth diventa la cattiva strada sulla quale avanza lo sgangherato corteo del cantautore genovese.
I tre accordi sui quali si sviluppa l’armonia ossessivamente ripetitiva della canzone, quasi a voler tracciare effettivamente questo stradone, sono comuni a entrambi i brani. Il tappeto di Do, Sol, Fa, Do, stendendosi uniformemente, offre all’ascoltatore la possibilità di seguire attentamente il testo senza distrazioni, senza svincoli, senza ponti, ed incamminarsi, quasi trascinato anch’egli, sulla cattiva strada.
Procediamo ora strofa per strofa
Alla parata militare Sputò negli occhi a un innocente E quando lui chiese “Perché “ Lui gli rispose “Questo è niente E adesso è ora che io vada” E l’innocente lo seguì Senza le armi lo seguì Sulla sua cattiva strada
Comincia da una parata militare la lunga processione dell’anti-eroe. Il mondo militare, specie dopo il ’68 e per tutto il decennio successivo, è l’emblema dell’asservimento al pensiero dominante. Non è un caso che la prima provocazione sia fatta proprio ad una parata, esaltazione del potere. Quel potere che rende acritici, passivi, svuotati. E’ proprio questo asservimento acritico che rende il soldato un innocente. Non ha consapevolezza del male che egli genera e dunque egli non può essere incolpato di nulla. Uno sputo negli occhi, prima cecati, lo desta dal torpore della ragione insinuando nella sua mente la più atavica delle domande: perché? Non si fa attendere la risposta. E’ niente uno sputo al confronto con l’orrore della guerra, con il crudele spettacolo del sangue.
Portata a termine la missione, va via. Non ha necessità di essere seguito poiché nonèun profeta canonico, è un disvelatore. Il soldato, tuttavia, ora non più innocente poiché cosciente, lo segue, ma getta le armi. La cattiva strada è quella del pensiero critico, della diserzione, e ha un altro uomo che la batte.
Sui viali dietro la stazione rubò l’incasso a una regina e quando lei gli disse “Come ” lui le risposte “Forse è meglio è come prima forse è ora che io vada ” e la regina lo seguì col suo dolore lo seguì sulla sua cattiva strada.
La seconda tappa è la stazione, noto punto di ritrovo di “regine”, o meglio prostitute. Il mestiere più antico del mondo è senz’altro uno dei più dolorosi. Quale miseria può spingere a vendere il proprio corpo? Si è naturalmente portati – si dovrebbe essere naturalmente portati – a un’empatia pietosa nei confronti di colei costretta a tale attività. Non mancando di tale empatia, ma mostrandone l’altra faccia, quella provocatoria, piuttosto che quella mestamente accomodante, il nostro le ruba l’incasso.
Quanto dolore dietro quelle lire così tristemente guadagnate?
Con quel furto forse vuole dirle che il gioco non vale la candela. Tutto il dolore che l’ha costretta a prostituirsi e la costringe a vendersi non vale la dignità che lascia in ogni atto non desiderato, ma costretto.
E’ un termine che torna spesso quello della costrizione. Il cursus vitae spesso costringe ad azioni che esulano dalle nostre volontà, che sembrano necessarie, ma che incupiscono giorno dopo giorno. E nella regina, a questo punto, è possibile vedere non solo la prostituta, ma tutti coloro che, dimentichi del sostanziale, perdono sé stessi nella ricerca affannosa di ciò che sembra importante per ritrovarsi infine afflitti, svenduti,senza sapere il perché.
Una sveglia crudele, dura e una deviazione sulla cattiva strada talvolta sono necessarie.
E in una notte senza luna truccò le stelle ad un pilota quando l’aeroplano cadde lui disse “È colpa di chi muore comunque è meglio che io vada ” ed il pilota lo seguì senza le stelle lo seguì sulla sua cattiva strada.
E’ la volta del pilota. Uomo dalla strada segnata. Segue le sue stelle come se nient’altro fosse la verità e la deviazione da questa verità ne causa inevitabilmente la morte. Questa strofa è un attacco agli integerrimi, ai farisei, ai rigidi precettisti. Il suo gioco è falsificarne la rotta. Così, il pilota, è messo di fronte alla sua inutilità fuori dai suoi precetti. E’ un urlo che gli chiede di costruire da sé la sua strada. Una volta deviata la rotta e giunto l’aereo al fatale destino, non dà neanche il tempo di chiedere spiegazioni. La colpa è di chi muore, di chi svanisce tra le sue certezze, tra le sue regole. Di chi senza luna e senza stelle, non sa cosa fare della propria vita, non ha nulla da dire nella propria vita.
A un diciottenne alcolizzato versò da bere ancora un poco e mentre quello lo guardava lui disse “Amico ci scommetto stai per dirmi adesso è ora che io vada” l’alcolizzato lo capì non disse niente e lo seguì sulla sua cattiva strada.
La penultima visita è ad un giovane alcolizzato, il più vicino al suo modo di intendere la vita. Vicino, perché lo comprende immediatamente, ma vinto, perché anch’egli schiavo, stavolta della sua fuga, il vino. Lo schiaffo che riceve, poiché pienamente compreso, è persino più potente di quello ricevuto dagli altri. Sembrava quasi che lo aspettasse, la sua chiamata alle armi. Può bene continuare a fuggire restando fermo nell’alcool. Fugge probabilmente persino dalla consapevolezza della propria fuga. Lo scossone che riceve alla vista di quel santo profeta è propedeutico alla vera fuga, quella sulla cattiva strada. Muto, come colui che l’ha destato, ché le parole non servono – finora il nostro profeta non ha detto praticamente nulla – si appresta alla fuga vera.
Ad un processo per amore baciò le bocche dei giurati e ai loro sguardi imbarazzati rispose “Adesso è più normale adesso è meglio, adesso è giusto, giusto, è giusto che io vada ” ed i giurati lo seguirono a bocca aperta lo seguirono sulla sua cattiva strada, sulla sua cattiva strada.
Ultima sede della visita di questo Cristo, muto, laico ed anarchico è un tribunale. Il processo per amore, che sia adulterio, che sia delitto d’onore, era il processo nel quale era maggiormente prevedibile la venuta del profeta. L’amore, per antonomasia il sentimento più libero e prorompente, ribelle e violento, è sotto processo. Anch’esso inscatolato tra mille leggi, mille costrizioni. I giurati, posti su un piano superiore rispetto a chiunque altro, con dalla loro parte il potere di giudicare, di decidere ciò che è giusto e ciò che è cattivo, sono tronfi e pieni di sé. La provocazione stavolta è quasi naturale. Un bacio d’amore, di ribellione, per chiunque.
Chi prima siede dalla ragione, ora cammina a braccetto con il dubbio. La bocca che prima dibatteva e giudicava, e indicava, e puniva ed esaltava, ora è spalancata, senza niente da dire. Imbarazzata, come chi, dopo anni di errori, subisce l’epifania che spalanca gli occhi sulla propria condizione.
E quando poi sparì del tutto a chi diceva “È stato un male” a chi diceva “È stato un bene ” raccomandò “Non vi conviene venir con me dovunque vada, ma c’è amore un po’ per tutti e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada sulla cattiva strada.
Conclusa la sua missione si dilegua. Sorprende con il suo arrivo e lascia sgomenti con la sua scomparsa. E’ il dubbio persistente, la sensazione di non essere mai giusti, che spinge a rivedere ogni scelta, a criticare ogni pensiero, anche il proprio. Rappresenta un male perché toglie ogni certezza, spoglia chi tocca della coperta di giustizia della quale si è velato, lascia inermi. Rappresenta un bene perché insinua il dubbio, che è crescita, che è caos costruttivo.
E’ l’anti-eroe che svela le ipocrisie, se ne infischia delle convenzioni sociali e degli standard e sfugge in direzione ostinata e contraria, non solo per il piacere di farlo – e si avverte questo velato narcisismo, è innegabile – ma per il dovere di tracciare altre strade.
In queste strade trovare il proprio amore che spesso è trovare sé stessi.
E spesso, sommersi da tonnellate di sovrastrutture, ce ne dimentichiamo troppo facilmente.
A cura di Peppe Giorgianni
“Ogni qualvolta una teoria ti sembra essere l’unica possibile, prendilo come un segno che non hai capito né la teoria né il problema che si intendeva risolvere.”