“Non penso che il pubblico fosse pronto. Non sapevano cosa fare con Le Iene. Fu come il primo film muto, quando la gente vide il treno che arrivava verso la telecamera e uscì dalla sala di proiezione.”
Non esistono parole più adatte per descrivere l’opera prima del cineasta più visionario di Knoxville se non citando Jami Bernard, che si apprestò ad elogiare Le Iene fin da subito nella sua recensione per il New York Daily News. Il pubblico del Sundance Film Festival, una delle più importanti rassegne dedicate al cinema indipendente, rimase letteralmente folgorato nel lontano 1992, al cospetto di un opera rivoluzionaria e controversa allo stesso tempo. Tra accuse di plagio e critiche riguardanti l’estetizzazione della violenza, Tarantino riuscì a ritagliarsi un posto d’onore nell’olimpo delle produzioni cinematografiche degli anni ’90, trasformando il suo goliardico debutto in un cult ancora soggetto a continui elogi ed analisi formali.
Tutto comincia da una semplice rapina finita male, che costringe i sei partecipanti a rifugiarsi all’interno di un rudimentale e grezzo capannone, adibito come punto di ritrovo. Il fattaccio scatenerà una serie di inverosimili eventi volti a smascherare la causa della disfatta, trascinando il gruppo in un delirio di furore e costernazione.
La trama rappresenta quindi un tramite per esternare la coerenza tematica, l’autorialità e la maturità registica di Quentin; abile nel dilettarsi in dialoghi surreali e saturi di inventiva, catturando anche lo spettatore meno esigente e colto.
Basti pensare alla scena iniziale, in cui viene messo in discussione il singolare testo della canzone Like a Virgindi Madonna o l’esaltante tortura di Mr.Blonde ai danni del giovane poliziotto sotto le note di Stuck in the Middle with You degli Stealers Wheel.
E parlando di musica, componente chiave nella filmografia del regista, sarebbe una grave mancanza non elogiare la sua bravura nella scelta compositiva. Tanti brani dei fin troppo rimpianti anni ’70, che spaziano dal rock classico al blues, rappresentano il repertorio con il quale Tarantino é cresciuto nel corso della sua giovinezza. Questi, misti al voyeurismo registico che abbraccia l’intera produzione, costituiscono un abile e funzionale connubio; volto alla creazione di un’opera che accenda le passioni della moderna generazioni di cinefili. Un film d’autore travestito da un prodotto di serie B, la base del cinema avantpop di Tarantino.
Ma da dove nasce il singolare titolo che dà il nome alla versione originale della pellicola?
Reservoir Dogs non è altro che una storpiatura dovuta alla dislessia del regista americano di Au revoir, les enfants, film del 1987 diretto da Louis Malle, unito a Straw Dogs di Sam Peckinpah. Il budget, inoltre, è costituito dall’irrisoria cifra di 1.200.000 dollari, fornita dalle tasche dello storico produttore Lawrence Bender e lo stesso Harvey Keitel che impersona Mr.White. A causa di ciò, molti attori dovettero usare i vestiti del proprio guardaroba e il capannone, una delle poche ambientazioni del lungometraggio, non fu altro che un deposito funebre in costruzione. Gli incassi diedero poi ragione a Quentin, ripagandolo di tutti gli sforzi indotti dalla scarsa disponibilità economica iniziale.
Altra grande costante della pellicola è lo sviluppo cronologico sconnesso e rigorosamente suddiviso in capitoli, caratteristica peculiare anche delle successive opere del regista. Una non linearità che esprime ancora una volta quel gusto volto totalmente all’estetica dell’intera struttura, sia narrativa che artistica.
Il film si presenta quindi quasi come un’opera teatrale, dove la qualità delle interpretazioni dell’intero cast eleva sensibilmente il valore dell’intera produzione e caratterizza i personaggi alla perfezione.
Gli attori rappresentano un’altra punta di diamante della proiezione; ognuno è dotato di una propria personalità, satura di perversioni e fisime da gangster, che intrecciandosi tra loro contribuiscono a trasformare l’intera impostazione filmica e a garantire una resa scenica di assoluto livello. L’umorismo nero è un’altra aggiunta volta a trasformare situazioni apparentemente funeste in un delirio di ilarità e malevolenza. Una scelta antitetica, che delinea con precisione l’estro creativo e la visionaria mente di Quentin Tarantino, uno degli ultimi grandi artisti contemporanei.
Le Iene rappresenta quindi la piena padronanza del mezzo all’esordio, situazione più unica che rara. Il congeniale mix di intrecci narrativi e flashback ultra-classici, insieme all’innata stravaganza nel riscoprire il caper movie, innalza in primo luogo il cineasta americano, ponendolo sotto la lente del pubblico e della critica specializzata; e come se non bastasse, reinventa un genere dalle basi. E’ la personale rivincita di un genio che, prima di essere un cineasta, è un estimatore della settima arte e un avido consumatore di pellicole. E’ il segno lasciato da un’ammirevole lungimiranza, la principale causa del sovvertimento cinematografico più rappresentativo degli anni ’90.